Aiedail

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Nel corso dei giorni successivi Firnen esplorò la nave elfica con gli occhi curiosi di ogni bambino. Inizialmente aveva preferito riposare e piangere i suoi cari nella penombra della sua cabina, ma al terzo giorno Oromis l'aveva costretta ad uscire con la scusa di farle respirare un po' di aria fresca. Le aveva presentato tutti i membri dell'equipaggio, che si erano rivelati estremamente gentili e sollevati nell'apprendere che stava bene e che era sufficientemente in salute.

C'erano ancora momenti in cui la bambina veniva colta da fastidiosi attacchi di tosse che la lasciavano senza fiato, ma Firnen era pienamente consapevole che quello era un prezzo quasi infimo da pagare rispetto a ciò che l'isola aveva riscosso al resto dei suoi abitanti.

Firnen era rimasta affascinata dalla maestosità e dall'eleganza della nave, una leggiadra imbarcazione dai contorni sinuosi che incarnava l'arte elfica nella sua forma più pura. Solcava il mare con grazia, come sospinta da un'incantesimo che pervadeva l'aria di una vibrazione frizzante, una magia invisibile forse intessuta nella struttura stessa della nave. Le vele rilucevano d'argento e di oro nelle ore del crepuscolo, ali leggere che si gonfiavano nel vento conducendoli verso l'orizzonte.

Contemplando le onde che si estendevano a perdita d'occhio Firnen riusciva persino a dimenticare, anche se solo per qualche attimo, gli eventi drammatici accaduti a Vroengard.

Il capitano, Edeviel, era un elfo alto e dagli occhi scuri come una notte senza luna. Le aveva detto che il nome della nave era Aiedail, Stella del mattino, e le aveva mostrato il grande timone finemente intarsiato al centro del quale emergeva la figura di un drago in miniatura sullo sfondo di un cielo punteggiato di piccoli astri.

Spesso Firnen aveva attraversato i ponti di legno levigato in compagnia di Oromis, che in quelle occasioni era lieto di raccontare alla bambina storie di draghi e di antichi tesori perduti. Firnen ascoltò avidamente gli aneddoti dell'elfo, storie che evocavano un tempo di pace che nella sua breve vita non aveva ancora potuto conoscere e apprezzare.

Il Cavaliere diventò una presenza rassicurante e piacevole in quei pomeriggi passati a conversare e Firnen iniziò ben presto a considerare Oromis con profonda ammirazione e rispetto. Era proprio durante una di quelle conversazioni che Firnen aveva scoperto che Oromis era non solo un Cavaliere dei draghi, ma anche il Maestro che decenni addietro aveva addestrato suo padre Ahorin e Leum.

Intorno a loro gli elfi si muovevano silenziosamente, figure eteree immerse nelle loro attività quotidiane che lavoravano con una precisione conferita da secoli di pratica nella navigazione.

Passeggiando sul ponte Firnen si convinse persino di sentire l'aura antica di Aiedail, un'aura profonda quanto lo stesso oceano. Da millenni la sua razza si era stabilita nella Du Weldenvarden, ma gli elfi non avevano mai dimenticato il fascino per il mare e Aiedail appariva alla bambina come la personificazione di quell'amore.

Un giorno un elfo dell'equipaggio aveva recitato alcuni versi del Du Silbena Datia, un poema che decantava proprio la passione elfica per l'oceano e le sue meraviglie. Al suono della sua voce cristallina tutti gli elfi avevano interrotto ogni faccenda per ascoltare rapiti il canto del compagno:

Oh, mare tentatore sotto l'azzurro cielo.

la tua distesa scintillante mi brama e mi chiama.

Veleggerei per sempre nel sole e nel gelo,

ma c'è un'elfica fanciulla che mi ama e mi chiama.

A sé mi attira con le sue trecce bionde.

Ahimè, il mio cuore langue fra la terra e le onde.

Quel giorno il tramonto stese un meraviglioso manto rosa screziato d'arancio. Firnen si sporse sul parapetto per osservare l'oceano, i capelli d'ebano che ondeggiavano al ritmo della brezza. La luce solare ormai morente si rifletteva sull'acqua assumendo tonalità fugaci che si compenetravano in guizzi luminescenti, simili al brillio di piccole pietre preziose. Si lasciò trasportare dai giochi di luce, immaginando di trovarsi sulle sponde del lago Ardwen, nei pressi della città elfica di Silthrim.

Ad un tratto Firnen notò che la superficie dell'acqua era increspata da sussulti irregolari. Strinse gli occhi per scrutare meglio le profondità marine, accorgendosi che gli spruzzi stavano diventando sempre più intensi e frequenti.

Di quale animale poteva trattarsi? Avvertendo una crescente inquietudine mista a curiosità la bambina espanse un flebile tentacolo di coscienza verso l'animale, ma subito si ritrasse istintivamente di fronte a quell'immensità oscura, proprio come si fa quando ci si avvicina troppo alle fiamme. Le sembrò di essersi sporta da un precipizio senza fine, di averne fissato il vuoto e di aver lasciato irrimediabilmente cadere dentro di esso una parte del proprio essere.

Firnen si allontanò subito dal parapetto indietreggiando di qualche passo. Non fece in tempo a dire una sola parola che il suono del corno di allarme echeggiò nell'aria diffondendo un'unica nota squillante. La bambina alzò lo sguardo sul nido di vedetta e vide un'elfa che, abbassato il corno, gridò un'unica parola:

«Nïdhwal!»

Nïdhwal, serpente marino. Non era affatto un animale. Firnen aveva letto qualcosa al riguardo durante uno dei pomeriggi d'inverno passati nell'immensa biblioteca di Doru Araeba. Erano estremamente rari da avvistare ed erano considerati una sorta di cugini alla lontana dei draghi, tanto da venire soprannominati "draghi di mare".

Quando aveva chiesto a Leum di parlargliene, il drago le aveva raccontato che i Nïdhwal erano creature intelligenti in grado di sfruttare il potere della mente per immobilizzare le proprie prede.

Tutti gli elfi dell'equipaggio accorsero sul ponte in un vortice frenetico di passi ed esclamazioni. Firnen vide Oromis dirigersi al centro del tumulto e discutere concitatamente con alcuni dei suoi compagni, tra cui Edeviel. Gli altri si disposero a mezzaluna intorno a loro, in attesa di ordini. Uno di loro incoccò una freccia, pronto a far scattare la corda in direzione della bestia che ancora rimaneva sul filo dell'acqua. Oromis lo fermò: «Compagno, abbassa il tuo arco. I Nïdhwal sono creature rare e antiche. Dobbiamo fare il possibile per non nuocergli in alcun modo».

L'elfo allentò la corda di controvoglia, un'espressione tesa sul volto glabro: «Oromis-elda, dovremmo almeno cercare di allontanarci in fretta. I Nïdwhal sono creature volubili e quando affamati non disdegnano neppure di cibarsi dei propri simili».

Firnen si mescolò alla calca incurante del pericolo e lieta che fossero tutti troppo impegnati a discutere per notarla. Vedere un Nïdwhal! Chissà se nella vita avrebbe avuto un'altra occasione simile. Di certo non poteva sprecarla.
Probabilmente mi spediranno sottocoperta entro breve, pensò con una punta di amarezza. Non era una sprovveduta, ma la guerra l'aveva temprata più di quanto necessario e il suo spirito indomito non aiutava più di tanto.

Edeviel si diresse con passo deciso verso il parapetto, gli occhi scuri fissi sulle acque increspate. Si rivolse al vecchio Cavaliere: «Ha ragione. Potrebbe decidere di attaccare in qualsiasi momento. Dobbiamo allontanarci subito se non vogliamo ingaggiare battaglia».

Molti elfi proruppero in cenni di approvazione.
Firnen notò che Oromis, la fronte aggrottata per la concentrazione, era tra coloro che sembravano non condividere quel piano. I suoi dubbi vennero subito confermati: «Fuggire potrebbe rivelarsi un'arma a doppio taglio. I Nïdhwal, così come i draghi e ogni altro predatore, amano il brivido della caccia. Se ci poniamo come prede rischiamo di risvegliare il suo istinto di cacciatore».

Il serpente marino si avvicinò ulteriormente e le sue spire si fecero più chiare sotto la superficie dell'acqua. In quel momento la nave fu scossa come da un rombo di terremoto. Gli elfi si aggrapparono ai corrimano per mantenere l'equilibrio mentre Edeviel correva svelto verso il timone: «Oromis, non abbiamo scelta! Ammainare le vele!»

NdA: mi spiace lasciarvi sul più bello, ma cliffhanger chiama cliffhanger, a presto!

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