⊰𝐶𝑎𝑝𝑖𝑡𝑜𝑙𝑜 14⊱

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Gwendolyn era seduta sul divano, un libro stretto tra le mani e la mente che vagava altrove.

Erano passati due giorni da quando si era svegliata.

La prima cosa che aveva provato quando aveva aperto gli occhi era una sensazione di puro smarrimento, presto soppiantato dall'angoscia di non sapere cosa fosse successo.
Sua madre e suo padre le si erano subito affiancati nel tentativo di tranquillizzarla. E lei si era sforzata tanto per farlo. Si era sentita esposta, fragile, vulnerabile. E quelle sensazioni le avevano attanagliato tanto il cuore da farle mozzare il respiro.

Per quel che ricordasse per lo meno.

Le ore erano successive erano frammentate nella sua mente. Ricordava di essere costantemente assonnata, di aver fatto molte analisi, e di aver ricevuto tante domande.

Come si sentiva, cosa le faceva male, se aveva fastidi...tutte domande inutili per lei. Non riusciva a fare altro che mugugnare qualche risposta e a chiedere, con una certa insistenza, cosa fosse successo.
Nessuno pareva volerle rispondere. O meglio, l'unica risposta che fornitagli fu: "Ne parliamo quando ti sarai rimessa".

E lei aveva accettato. Non che avesse scelta comunque.

Ma non poteva non ripensare all'accaduto.
In quella stanza d'ospedale, in cui si sentiva sola seppur circondata da persone, la sua mente la riportava sempre a ricordare quei pochi attimi fissati in memoria.
Erano tutti così sfocati e incomprensibili.
E lei si sentiva persa, gettata in un oceano di incertezze e timori da cui non riusciva a risalire.

Non aveva più il controllo. Nè sul proprio corpo nè sulla propria mente.

La pelle era perennemente scossa da inquietanti brividi che le correvano lungo la spina dorsale e le facevano tremare le mani; ogni volta che chiudeva gli occhi, anche per un brevissimo istante, si sentiva mancare il fiato. E, infine, quando qualcuno le si avvicinava, il panico l'avvolgeva come un'invisibile coperta di cemento.
A quel punto le tempie iniziavano a pulsare, la bocca le si seccava, e lo sguardo si sfocava.
Erano brevi istanti, frazioni di secondi in cui non aveva idea di cosa stesse accadendo, perché o come potesse fermare quella sensazione.

Tutto pareva peggiorare specialmente quando si sforzava di tornare con la mente a ciò che era accaduto. Aveva bisogno di sapere come si erano svolti gli eventi, almeno quello sentiva la necessità di ricostruirlo. Ma non serviva.
Era impotente, bloccata in un loop di ansia e incertezza che pareva non avere fine.

«Tesoro sto andando al supermercato. Vuoi qualcosa?» Le chiese sua madre dolcemente distraendola da suo flusso di ricordi.

Gwendolyn negò con il capo forzando un sorriso che Aline restituì incerta.
La tensione fra di loro era alta e mal celata. La ragazza sentì i passi della madre che si allontanavano e una sensazione di fastidio misto a senso di colpa, rabbia e inquietudine le attanagliarono il petto.
Si voltò verso la finestra, costringendosi a concentrarsi sul cielo terso.

Il rapporto con i suoi genitori si era incrinato.

Dopo le prime ore in ospedale, presa dall'ostinazione e sull'orlo di una crisi di nervi, Gwendolyn era riuscita a ottenere la tanto ricercata risposta.
Attacco di panico.

Un forte attacco di panico innescato, probabilmente, dal troppo stress. Così le avevano detto.

La sorpresa era stata così palese che fu certa di aver tenuto le labbra spalancate per diversi minuti.

Prima un calo di zuccheri e ora un attacco di panico per...lo stress?
Quante possibilità c'erano che questi eventi accadessero così vicini l'uno all'altro, con una forza tale da farle perdere i sensi per ore, lasciarle dei buchi di memoria e dei non trascurabili dolori fisici?

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