⊰𝐶𝑎𝑝𝑖𝑡𝑜𝑙𝑜 15⊱

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«Quindi credi che siano coinvolti in loschi affari?» Domandò Lizabeth calcando sulle ultime parole con ironia mentre, con parecchie difficoltà, tentava di sistemare i suoi libri nell'armadietto.

Gwendolyn soffiò dall'altro capo del telefono. L'amica non seppe definire se fosse di frustrazione, di stanchezza, o un semplice gesto liberatorio. «No. Sì. Non lo so...non credo?» Il tono di voce si alternò in una giostra perfetta ad ogni risposta.

Lizabeth prese il telefono spostandolo nell'altro orecchio e si appoggiò con una mano allo sportello dell'armadietto.

Aveva chiamato l'amica appena era iniziata la pausa pranzo. Avrebbe voluto farlo prima, ma a causa dei medicinali Gwendolyn aveva dormito più del solito e quando si era svegliata Lizabeth era a lezione. Avevano perciò ripiegato su una serie infinita di messaggi che, per quanto si sforzassero di essere dettagliati, in realtà erano risultati solo confusi. Al punto tale che Lizabeth era riuscita a comprende soltanto che Derek era stato a casa Butler, che aveva infastidito l'amica, e che poi aveva discusso su Jordan con toni sospetti.

«Prendi una decisione Gwen. - riprese a parlare Lizabeth non celando il suo scetticismo e divertimento. - Sono dei chierichetti o dei ricercati internazionali dell'FBI?»

«Smettila di scherzare. Sto dicendo sul serio.» Le rispose lievemente infastidita Gwendolyn.

«Cosa ti fa credere che non sia seria?» Le chiese con innocentemente.

«Lizabeth.»

La ragazza inarcò un sopracciglio e trattenne l'ennesima risatina. Gwendolyn non la chiamava mai con il suo nome completo. «Gwen. Probabilmente stavano parlando di qualche partita, schemi di gioco, qualche scherzo da fare o che hanno già fatto.» Le disse tentando di rimanere il più seria possibile.

«Hanno detto, testuali parole, "non le diremo niente." - disse imitando un tono di voce più grave. - E hanno fatto riferimento a qualcuno uscito di galera.» Disse agitata.

Lizabeth riuscì a immaginarla alzarsi nervosamente e passeggiare per la sua stanza.

In effetti, non poteva negare che la conversazione fosse strana. Capiva la reazione dell'amica. Ma non le avrebbe dato corda. In primo luogo, perché l'amica si stava ancora riprendendo e non sapeva che reazione avrebbe avuto sulla sua mente e sul suo corpo intestardirsi oltre sulla questione; in secondo luogo, non riusciva davvero a credere che Jordan e Derek fossero invischiati in qualcosa stile NCSI. Avevano tanti difetti, certo, ma arrivare a oltrepassare la linea del lecito e legale era impensabile. Specie se si teneva conto che Derek era figlio di un poliziotto. Più ci pensava e più non le sembravano proprio i tipi.

«Ti stai preoccupando troppo. - le disse scuotendo la testa. - Dev'esserci senz'altro una motivazione plausibile dietro a quel dialogo. Avrai frainteso qualcosa.» Tentò.

«Mi stai dicendo che ho le allucinazioni uditive?» Chiese risentita Gwendolyn.

«Non ho detto questo. - specificò l'amica sollevando gli occhi al cielo e uscendo nel cortile per fumare una sigaretta. - Ma anche fosse non ci sarebbe nulla di strano. Sei stressata, sotto pressione, ed incredibilmente volubile.» Le ricordò con una nota di preoccupazione.

«Grandioso! - disse Gwendolyn gettandosi di schiena sul proprio letto. - Persino la mia migliore amica mi da della pazza ora.»

Lizabeth storse le labbra mentre accendeva la sigaretta. «Nessuno ti crede pazza. Benché meno io. - puntualizzò risentita. - Nonostante anni di prove a sostegno della tua follia.» Concluse più a bassa voce.

«Grazie mille.» Borbottò Gwendolyn nervosamente.

«Cosa vuoi che ti dica Gwen? - ribeccò la ragazza. - Vuoi che ti dica che ha ragione? Bene. Hai ragione. Ora che vuoi fare? Lo andrai a dire ai tuoi genitori? Al padre di Derek? Vuoi andare a parlare direttamente con loro due, metterli all'angolo magari? Vuoi andare a denunciarli alla polizia? Va bene, ti accompagnerò io.»

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