⊰𝐶𝑎𝑝𝑖𝑡𝑜𝑙𝑜 3⊱

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Quando Gwendolyn era piccola, più o meno intorno ai sette anni, era una vera scalmanata.
Una di quelle bambine sempre in movimento, attive, chiacchierone e esuberanti. Uno di quei caratteri dalla duplice descrizione. Ubbidiente e solare se si chiedeva a genitori e amici, monella e sorda ai rimproveri se si domandava ai maestri.
Era a causa di questo suo carattere che, più spesso di quanto volesse ammettere, sorgevano dei piccoli litigi e zuffe con i compagnetti.
A formare questo suo carattere, sicuramente, era stato rilevante il vivere a contatto con due maschietti. Alle volte, tuttavia, capitava che Gwendolyn avesse a che fare con "avversari" il doppio di lei.
Quando succedeva, prima di rendersene conto, era già per terra, con gli occhi pieni di lacrime e le labbra serrate dalla paura e dalla vergogna. Ed era allora che, di solito, arrivava Derek.
Il suo cavaliere, dalla scintillante armatura, proprio come quelli delle favole.

Dopo averla tratta in salvo, nonostante la tenera età, Derek iniziava a sgridarla sul suo comportamento. Ma a Gwendolyn non importava.
Da quando lui entrava nel suo campo visivo, per lei non esisteva nient'altro. Sorrideva, e basta, rassicurata dalla sua sola presenza. E lo fissava con un'adorazione tale, che solo una bambina della sua età era capace.
Gli bastava uno sguardo. Un solo sguardo in cui i suoi occhi blu la sommergevano. E lei si sentiva come quando andava al mare e, nel giocare a rincorrere le onde, vi ci tuffava improvvisamente.

Ed in quel momento, a distanza di anni, Gwendolyn provava le stesse sensazioni.

Derek si voltò di scatto, interrompendo quell'illusione, come se si fosse ustionato. «Forza Jordan, muovi il culo.» Si rivolse al migliore amico con tono seccato.

Jordan, ancora seduto in terra, si alzò immediatamente annuendo deciso.

«Devo dire qualcosa a mamma?» Chiese Gwendolyn, cercando di trattenere la cocente delusione di vivere una realtà che non si avvicinava nemmeno lontanamente al loro passato.

Jordan si infilò la giacca di pelle che gli stava passando Derek, il quale con un'indifferenza degna di una statua, non la degnava nemmeno di uno sguardo. «Non c'è bisogno. Torno prima di cena.» Le rispose il fratello in tono neutro.

Gwendolyn non tentò nemmeno di chiedere qualcosa in più, di cercare spiegazioni in quel comportamento ambiguo dei due, semplicemente serrò le labbra in una linea sottile guardandoli uscire da casa.
Quando sentì la porta chiudersi in uno scatto deciso, con passo lento e trascinato, si avvicinò alla finestra che dava sul vialetto.

Jordan e Derek percorrevano di fretta la strada grigia e Gwendolyn, da dietro quel vetro, non riuscì a non guardarli tristemente. Non riuscì a trattenere un sorriso triste nel vederli andarsene sull'auto di Jordan senza mai voltarsi verso di lei.
Come se lei non esistesse.

Trattenendo un fremito al labbro inferiore, Gwendolyn si allontanò in fretta dalla finestra risalendo al piano superiore di gran fretta. Così tanto che rischiò di incespicare sui gradini.
Quando rientrò nella sua camera, il respiro affannato ed i pensieri che le vorticavano in testa come un uragano.
Andò subito verso la propria libreria ad angolo. In alzo, quarto scaffale sulla sinistra, in mezzo a tutti i libri fantasy c'era lei, un'agenda.
Una di quelle che si usavano nei viaggi per mare, dove il capitano (o chi che fosse) raccoglieva tutte le sue idee e tutti i suoi pensieri. L'aveva trovata in un negozio di antiquariato durante una svendita quando andava alle elementari. In tanti anni, nonostante più della metà delle pagine fossero scritte, non era ancora riuscita a riempirla tutta.

Questo perché, fin da principio, si era ripromessa di scriverci solo per i momenti davvero importanti. Decise di scriverci solo quei sentimenti troppo grandi per poter essere espressi a voce.

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