3. Apnea

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Dio se odiavo le scale.

Ce n'erano un'infinità prima di poter arrivare al portone di casa mia, prima di potermi comodamente allungare sul divano nuovo, con la mia copertina di plaid, con il telecomando in grembo e lo schermo davanti agli occhi.
Non ero certo in grado di farle tutte da solo, senza soste, con le buste della spesa tra le mani e la pancia sempre più sporgente.

Era stato un vero e proprio colpo di fortuna, incontrare Sanzu proprio davanti all'uscita del supermarket.

Mi aveva riconosciuto sul colpo, un sorriso genuino si era steso sul suo volto e mi aveva salutato con un abbraccio. Sorpreso dalla sua inaspettata confidenza, mi ci ero quasi sbracciato addosso, con i sacchetti della spesa che pesavano più di quanto fossi abituato a portare.
Avevo sempre abitato a pianterreno con i miei genitori, mi faceva strano dover salire tutti quei gradini ogni volta che, tornavo a casa ora.

Stavo proprio valutando l'idea di chiedergli o no una mano, quando lui parlò.

«Hai bisogno di aiuto con quelle?» mi chiese, indicandomi i sacchetti.

Un tempo, non solo non avrei accettato, ma mi sarei anche sentito offeso dalla sua mancanza di fiducia in me e nella mia forza, ma ora, al sesto mese di gravidanza, gli avrei baciato i piedi per quella proposta. Accettai di buon grado e lui tutto contento, mi accompagnò con la macchina sino al mio appartamento.

Il viaggio in auto fu abbastanza divertente. Sanzu si era disintossicato da due anni, ora aveva un lavoro stabile e stava provando a recuperare gli studi. Mi disse che stava disperatamente cercando di comprendere l'Aritmetica e ridemmo insieme quando mi spiegò che non riusciva mai a finire un compito di Trigonometria senza scoppiare a piangere.

Mi piaceva il suo sorriso. Mi ricordava quando lavoravamo insieme.

Mi aiutò a scendere le buste dall'auto e si offrì di portarle su per le scale. Non capivo perché si stesse comportando così con me, ma decisi di sorvolare e lo invitai da me per bere qualcosa e ringraziarlo per l'aiuto. Lui acconsentì.

Parlammo del più e del meno, Sanzu mi fece ridere come non facevo da tempo e mi raccontò come aveva passato gli ultimi anni. Si congratulò con me quando gli parlai della laurea - lui non c'era potuto essere alla festa, visto il suo lavoro. -
Mi spiegò in cosa consisteva il suo incarico e restai molto colpito dal suo impegno sociale; infatti, stava lavorando in un centro di disintossicazione per aiutare i ragazzi che cadevano nel giro della droga e non avevano nessuno che potesse farli tornare a vivere per bene.

Quando infine lo salutai, lui si fermò sulla soglia della porta di casa e mi guardò. Non in viso, ma sul ventre.

«Mi dispiace, Seishu. Non ho potuto fare a meno di notarla. I tuoi feromoni… ecco, per gli alpha è difficile non percepirli.»

Solo dopo che mi ebbe scoccato un'altra occhiata, capii.
Lui sapeva. Lui aveva intuito la mia situazione. Istintivamente mi portai una mano sul grembo e lui si sciolse in un sorriso timido. Notai, con un pizzico di stupore, che qualcosa gli attraversò lo sguardo. Un lampo di nostalgia, quasi.

«È tutto ok. Io… scusami se non ho detto nulla, ma-» mi bloccai. Non riuscivo a trovare le parole per spiegargli il tumulto di pensieri che mi impediva di esprimere ciò che stavo provando.

«Non preoccuparti. Io volevo solo sapere se stavi bene. Ti ho visto turbato prima, volevo solo… essere un buon amico, ecco.»

Le sue parole mi colpirono.
Non gli avevo mai sentito dire qualcosa di così gentile, eppure, il sorriso che accompagnava quel discorso non mi pareva per nulla artefatto. Così, lo ringraziai.

Cruor, KokonuiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora