3. Zac

659 33 3
                                    


«La ringrazio molto per averci aiutato. L'aeroporto era un inferno», commento per distrarmi dal freddo che mi gela il corpo, mentre il tassista imbocca la Connaught Road.

«Si figuri, capisco benissimo. Natale è il periodo più assurdo dell'anno. La gente sembra pazza, tutti che corrono a destra e a sinistra in preda alla frenesia».

«Già», convengo.

«Siete qui per passare qualche giorno di vacanza?»

«Visita annuale ai suoceri», lo informo. «Noi viviamo a New York e i genitori di mia moglie vivono a Londra».

«Un Natale in famiglia è sempre un Natale ben speso».

Vorrei rispondere, ma Natalie mi zittisce con un'occhiataccia, probabilmente prevedendo cosa avrei detto.

«Anche lei passerà il Natale in famiglia?», gli chiede poi.

«Spero di sì. Quest'anno abbiamo in mente di festeggiarlo in modo alternativo», ci fa sapere con un sorrisetto.

«Guarda Zac!», mi richiama all'attenzione Nats. «Ha iniziato a nevicare!»

«Ah! Questa poi non ci voleva proprio», si lamenta il tassista sbuffando teatralmente. «La neve è la cosa peggiore: code infinite di macchine, semafori che vanno in tilt, gente che attraversa la strada dove non ci sono le strisce pedonali. Un vero disastro».

Immagino che la neve non abbia la stessa attrattiva per tutti.

«Effettivamente per chi lavora all'aperto è un gran disagio», commento solidale.

Lascio che il mio sguardo si distragga oltre il finestrino e passo in rassegna tutto quello che mi scorre davanti agli occhi, fino a quando non si ferma davanti a un ormai familiare possente cancello.

Casa Henderson.

Ripeto a me stesso che saranno solo sette giorni. Solo sette. In un anno non è poi una grande tragedia.

«Accidenti, ragazzi! Che bella casa».

«Non si faccia ingannare... Non le ho chiesto il suo nome».

«Steve, mi chiamo Steve».

«Allora non si faccia ingannare, Steve. Non tutto ciò che luccica è oro», dico aprendo la porta dell'auto e uscendo dall'abitacolo.

«Ma la vuoi piantare?!», mi riprende Natalie. «Come se fossi costretto ai lavori forzati quando vieni qui. Te ne stai tutto il tempo a oziare in sauna e in piscina».

«L'anno scorso eri propensa anche tu a queste attività», la stuzzico, ma lei non cede e indurisce lo sguardo mentre con un piglio tutto suo tenta di scaricare la valigia.

«Ferma o ti cadrà sui piedi. Faccio io». La affianco e gliela tolgo dalle mani.

«L'altra la prendo io», si fa avanti pronto Steve. «Vi aiuto a portarle dentro».

Il tempo di fare due passi e il caro vecchio Vincent esce dal portone d'entrata pronto ad accoglierci.

Natalie si getta subito al suo collo. «Vincent!»

«Signorina, è sempre un piacere rivederla».

«Ora sono sposata, dovrai chiamarmi signora».

«Mi perdoni, ha ragione, signora», si corregge istantaneamente lui.

«Oddio, suona malissimo. Rettifico tutto. I miei sono dentro?»

«Sì. Con loro c'è anche la signora Amber».

Mi accodo a Natalie per entrare e a mia volta saluto Vincent. «Ehi, Vince. Dì un po', ma tu ci vai mai in vacanza?», gli domando curioso. È lecito chiederselo, lo vedo sempre qui.

Il maggiordomo sembra colto in contropiede. «Ehm, io, direi... Non ne ho bisogno», conclude infine dopo una breve riflessione.

«Ma te le danno almeno? Perché se fossi in te mi farei un giretto dai sindacati, tanto per avere certezza che i tuoi diritti di lavoratore vengano rispettati».

«Farò tesoro del suo consiglio, signor Zac».

Gli rivolgo un sorriso divertito e poi entro con lui al mio seguito. Come ogni anno la prima cosa da cui vengo colpito è il pavimento di marmo lucido che percorre tutta la casa. È un po' come se dicesse: "ormai sei qui. Non puoi più scappare".

Scaccio il pensiero con un sospiro e mi metto a salutare tutti.

«Emily, buongiorno!», la abbraccio. Sì, siamo arrivati a quel punto di rapporto in cui posso permettermi di darle una veloce stretta e lei me lo lascia fare.

«Zac, benvenuto. Ti trovo bene. Vai in palestra?»

Certo come no. Dopo la mia caduta di due anni fa ho buttato il tesserino e non sono più tornato per farne uno nuovo. Volendoci tornare dovrei proprio cambiare zona. Ormai lì la mia reputazione è rovinata. «Ovviamente. Con cadenza settimanale», le sorrido amichevole. Le bugie bianche non hanno mai fatto male a nessuno, si sa.

Se con Emily posso permettermi un breve abbraccio, con Harry la storia è ben diversa. Lui mi da una stretta di mano, io stringo i denti dal dolore, e poi Natalie mi controlla che non ci sia nulla di rotto. «Harry, è un piacere rivederla».

«Zac, bentornato». Eccola. La stretta. Ahia!

«Ciao papà!», gli si avvicina Natalie. «Tutto bene?»

«Procede tutto benissimo».

«Gli esami di cui mi parlavi al telefono?»

«Nella norma».

Questa storia ha dell'assurdo. Suo padre chiama ogni martedì sera.

Ogni. Martedì. Sera. Alle sette, non un minuto di più, non un minuto di meno.

E va benissimo, voglio dire, è suo padre, tutti chiamano i propri genitori. Ma avere un orario prestabilito è terrificante. Una volta è successo che eravamo impegnati in... sì, insomma, eravamo impegnati e basta, e Natalie non è riuscita a rispondere alla chiamata. Ci è mancato poco che suo padre facesse preparare l'aereo privato della Henderson Constructions per planare su New York a controllare che fosse tutto a posto. Roba da pazzi. E solo perché ha mancato una telefonata. Vorrei far presente che fino a due anni fa vedeva sua figlia solo una volta l'anno, senza troppo disturbo, ma mi rendo conto che l'incidente che l'ha colpita è stato così improvviso da aver scosso tutti nel profondo. D'altronde la vita non ti manda una raccomandata cinque giorni prima per avvisarti.

Mentre la mia dolce metà continua la sua chiacchierata medica con il padre io saluto sua sorella. «Ehi, Amber! Come stai? Peter è con te?»

«Sto bene, ti ringrazio. Peter arriva tra qualche giorno. Aveva del lavoro da sbrigare», alza gli occhi al cielo. Perché lui può dire che aveva del lavoro da fare e tutti gli credono mentre io no?

«Ehi, Zac», mi richiama Harry che viene verso di me e mi posa la mano sulla spalla. «Hai visto le oscillazioni del prezzo del pesce sul mercato? È cresciuto in una maniera spropositata».

«Già, infatti...», sto per continuare ma veniamo tutti interrotti da un forte tonfo del portone d'entrata.

I miei occhi increduli si sbarrano d'improvviso al vedere l'immagine che mi si presenta davanti: Steve, il nostro tassista gentile, ci sta puntando una pistola contro.

«Fermi tutti! Mani in alto! Questa è una rapina!».

Natale sotto sequestroDove le storie prendono vita. Scoprilo ora