Nove

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Belle le lezioni di staging.
Belle così tanto che avrei preferito farmi crescere le palle e poi darle in dono ad un gatto per farlo giocare e donarmi un costante, lancinante e acuto dolore alle parti basse.

Mi ero mossa così tanto sui tacchi che avevo rischiato sei lussazioni alla caviglia, ero caduta nove volte e rotolata come i maiali nel fango e con lo specchio che mi circondava avevo le prove reali e tangibili che a provare fare la sexy sembravo Frankstein sgrodolante di sudore e di puzza.

Mi fermai piegandomi leggermente sulle ginocchia, le mani ferme sulle cosce mentre la testa china verso il pavimento faceva cadere a terra gocce di sudore.
Le labbra dischiuse erano diventate completamente rosse e gonfie e respiravo senza fiato mentre tentavo di raccapezzarmi.

"Come va?"
Alzai il viso verso Elena che sinuosamente camminava verso di me.
Lei era esile ma muscolosa, tornita nel fottuto marmo ed ero convinta che sarebbe stato in grado di strozzare anche dei bufali con i muscoli che aveva nei quadricipiti.
Avevamo ballato insieme, lei chiaramente era più abituata di me a muoversi ma com'era possibile che non c'era neanche una goccia di sudore in quella chioma di capelli castano scuro? E che il suo trucco fosse esattamente uguale alle due ora fa quando avevamo iniziato.
Dovevo chiederle che marca di mascara usava.
"Mi sento peggio di quando ho iniziato" ammisi sinceramente tirandomi su.
I biker in tessuto mi si erano appiccicati alla pelle sudata che di solito era bianca ma quel pomeriggio aveva preso la sfumatura di uno splendente pomodoro, la tshirt bianca oversize che doveva nascondermi era diventata la mia seconda pelle e sentivo la necessità di togliermi le ginocchiere.
Chissà quali batteri proliferavano sotto quella spugna proteggi ossa.
"Io invece ti vedo molto migliorata" Elena mi sorrise e mostrò di più le sue labbra dipinte di rosa e circondate da una matita più scura.
Era una persona davvero carina ma anche una grande falsa.
"Però devi crederci anche tu in te stessa, non basto io" si avvicinò a me e mi puntò il dito ossuto sopra le tette, "non ci sono io dentro quella testolina ma se ci fossi mi urlerei ogni giorno quanto sono brava, quanto sono capace e quanto sono bella."
Deglutì.
Non piangete Amelia, non piangere.
Per favore, non renderti ridicola ancora, pare che non riesci a fare altro che piangere e lamentarti, dai, tu non sei così. Sei meglio. Sei più forte, vero?
"Am, sei bellissima ma non è questa la prima cosa che la gente vede quando vede te" non era la prima cosa perché non era manco l'ultima, "quando la gente ti guarda vede la tua potenza, la tua forza, la tua volontà. Sei una delle persone più affamate che io abbia mai visto. Probabilmente la tua determinazione nel farcela si gonfia mentre dormi ma devi credere in te anche quando vieni spinta a fare qualcosa in cui non ti senti a tuo agio perché in realtà sei perfettamente in grado di fare tutto. Tutto Amen."
Scoppiai a piangere, in modo composto ma piansi comunque.
Mi vibrò il petto per i singhiozzi che tentavo di nascondere e mi asciugai velocemente la lacrima che scese giù dal canale di scolo dei miei occhi rossi.
Elena mi sorrise, in modo dolce quasi materno e mi mise una mano sulla spalla per avvicinarmi a lei e poi stringermi qualche secondo.
Sentì una scarica di adrelina, non so se fosse possibile umanamente ma le sue scariche di volontà di vincita passarono direttamente dalla sua pelle alla mia.
Percepì l'elettricità.
Dovevo darmi un tono.
Mi sciolse dal suo abbraccio e mi pulì delle due lacrime che mi avevano rigato le guance.
"Ok" non avevo quasi più voce, "magari verrà una merda ma porterò questa cosa al termine."
Elena scoppiò a ridere, "ricominciamo allora!"

Mi misi su la giacca nera ed uscì dalla sala con i pantaloncini, ormai mia seconda pelle, e il borsone sulla spalla che nonostante avesse tre cose dentro, dopo tutte quelle ore di prova, mi pareva pessasse quanto quattro o cinque neonati.
Camminai tra i corridoi rossi e legnosi ed uscì dalla porta antincendio.
Nel breve tratto fra lo studio e la casetta mi accesi una sigaretta e saltellando di qua e di là provai di nuovo quella sorta di coreografia che avrei dovuto fare in studio.
Non era chissà quanto complicata, il problema era che se ci pensavo troppo inciampavo sui tacchi e l'idea che assomigliavo ad una sorta di sassy Frankestain non era solo una percezione era esattamente la descrizione della realtà.
Avevo anche preso peso da quando ero entrata, avrei dovuto perderlo dato che non ero mai in casa e non avevo troppo tempo per avere cibo di fianco a me e cadere nei soliti schemi ma le brutte abitudini che avevo, me le ero portate dietro a quanto pare ed erano anche peggiorate.
Smisi di ballare, mio dio ero un cesso che con tutto il peso che aveva addosso non riusciva nemmeno a respirare bene.

Paris Latino - Mida Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora