Quattordici

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C'era una certa tranquillità quella settimana, una sorta di calma generale che mi faceva sentire rigenerata.

Mida mi evitava come la peste bubbonica nel 1400 da ormai tre giorni, era andata in onda la puntata di sabato ed ero stata riempita di complimenti completamente immeritati e di sostegno da persone di cui non conoscevo i tratti facciali e questa cosa mi riempiva di gioia e di gratitudine tanto che avevo iniziato a meditare insieme a Holden, a lui non so a che cosa servisse meditare ma era divertente farlo insieme quando si concentrava sembrava che la lampadina nella sua testa scoppiasse.

La voce del santone dell'applicazione per la meditazione ci fece risvegliare dal nostro sogno lucido per avvisarci che i minuti di introspezione erano, finalmente, finiti.
Aprì gli occhi e mi voltai velocemente con la testa verso sinistra per guardare il ragazzo seduto di fianco a me a gambe incrociate sull'erba del giardino.
"Non puoi, tipo, meditare in silenzio?"
Poggiai le mani fra l'erba corta.
Era mezzogiorno, non c'era più rugiada ed era completamente asciutta grazie al sole romano che quel giorno segnava venti gradi e mi sbatteva i raggi contro la pelle del viso.
Ah, il riscaldamento globale.
Joseph aprì gli occhi tondi e con la testa dritta spostò solo le iridi verso di me.
Scoppiai a ridere, sembrava un fottuto serial killer, mio dio quegli occhi mi avrebbero ammazzato.
"Side eye" dissi ad alta voce continuando a ridere. Mi piegai su me stessa, con la faccia verso il buco creato dalle mie gambe incrociate e continuai a ridere.
Quel ragazzo era l'essere più comico mai esistito sul pianeta terra.
"Ragazzi" la voce di un ragazzo della produzione si diffuse per tutta la casa e per tutto il giardino, "i cantanti tutti in sala tv."
Alzai gli occhi verso il cielo.
Non c'era una nuvola.
Sembrava una rilassata giornata di settembre.
Piazzai il palmo della mano contro l'albero alla mia sinistra per aiutarmi a tornare eretta in piedi e con un saltello mi girai verso sinistra ed allungai l'altra mano verso Holden, "Andiamo?"
Mise la mano nella mia, "Andiamo."

Mi sedetti fra gli scalini bianchi, i cuscini blu e azzurri, finendo sopra al mio posto, quello più in alto per poi lasciarmi cadere di schiena e bearmi della morbidezza.
Guardai il soffitto bianco fino a quando la voce dello stesso ragazzo di prima, di cui non riuscivo mai a ricordarmi il nome - Marco, Mirko, Matteo? - non si diffuse nella stanza.
"Ragazzi per la puntata di mercoledì dovete prepare un brano a vostra scelta, chiaramente dovrete accordarvi con i vostri insegnanti" figurati se potevamo avere completamente voce in capitolo, "chi arriva ultimo alla gara cover finisce in sfida."
"Indipendentemente dalla scelta del professore?" Chiese Holy.
Era preoccupato.
Stava finendo sempre ultimo ultimamente, perciò ogni dubbio era assolutamente comprensibile.
"Chiunque arrivi per ultimo, andrà in sfida immediata."
Annuimmo tutti e qualcuno sospirò.
Io mi misi le mani incrociate sulla pancia e continuai a fissare il soffitto. Stranamente non ero preoccupata, l'idea che potessi scegliere la canzone da fare in puntata mi tranquillizzava perché io, al contrario di Lorella, conoscevo cosa facesse per me e se fossi finita per ultima avrei accettato la mia sorte e fatto la sfida.
Ero convinta che in ogni caso la produzione sapeva chi si meritava sfidanti non troppo...preparati e chi sarebbe dovuto uscire dal programma. Era tutto preparato e se doveva arrivare il mio turno per levare le tende magari non era neanche per le mie capacità ma perché non ero adatta a quel contesto e questa cosa un po' mi sollevava, insomma sapere che, in alcuni casi, non era dovuto a come cantavi era come ricevere una pacca sulla spalla.
Alcuni meritavano di uscire davvero ma quello non stava a me deciderlo. Almeno, me lo dicevo per tornare umile.

Mi alzai per mettermi seduta e feci scivolare il sedere sulla parte liscia senza cuscini per mettere i piedi giù, verso lo scalino bianco più in basso.
Arpionai le mani di fianco a me contro la superficie ad angolo e guardai gli altri mentre discutevano.
"Dite che la gara dell'altro giorno ci voleva preparare alla puntata?"
Buttai gli occhi su Petit ed annuì. Aveva senso.
Salvatore si passò le dita fra il ciuffo castano laterale per ravvivarlo. I suoi occhietti azzurri puntarono in quelli celesti e grandi di Valentina.
"Probabile ma almeno se finiamo in sfida ci finiamo con le nostre manine" le dita lunghe e affusolate della biondina dalle punte nere si mossero delicate nell'aria davanti al viso tondeggiante di Petit.
"E possiamo anche rifarci alla classifica dell'altro giorno" si aggiunse Angela. Stava pianificando qualcosa nella sua testolina coperta da quel fiume ampio di capelli voluminosi e indomabili.
Perché avevano tutti gli occhi azzurri? Non erano una minoranza?
"Dobbiamo chiedere aiuto a Amen, non ho capito che vuoi dire" sentì il mio nome pronunciato dalla bocchetta di Holy mentre il suo viso giallastro si guardava intorno.
Sembrava un po' tutto sbiadito, i capelli un tempo rosso ora erano scoloriti, la pelle aveva perso l'abbronzatura dell'estate e pareva quasi fosse andato a male. Neanche le labbra avevano più il solito colorito.
"Che chi è arrivato ultimo può lavorare più duramente" Rispose Mida riferendosi palesemente a lui ma tentando comunque di parlargli in modo comprensivo e tentare di dargli un consiglio.
Peccato che l'ultima cosa che voleva Francesco in quel periodo in cui aveva contro tutti a parte la sua insegnante erano consigli, lui voleva solamente comprensione e sentirsi dire che qualcosa di buono lo stava facendo.
Mida però non era una persona intenzionata a dare il contentino a nessuno, non era colui che di solito dava le pacche alle spalle per poi dire: dai sei stato bravo lo stesso, no ti spingeva sempre a fare meglio, a sfidarti e a farti credere che avessi ancora dei proiettoli da sparare.
Era stimolante sapere che potessi fare di più.
Ma non per Holy.
Lui voleva le pacche sulle spalle e le paroline di vicinanza.
"Mida mi devi mollare" Francesco alzò la voce, "mi stai sempre addosso, mi devi mollare!" si alzò in piedi e li dirise verso il corpo longilineo di Mida, seduto al secondo scalino centrare, "canti male e non riesci neanche a farlo senza autotune!"
Detto ciò prese e se ne andò, sbattendo i piedi a terra e facendosi sentire.
Seguì il suo corpicino uscire dalla stanza e poi lo vidi sparire nei corridoi.
Mi voltai verso il ragazzo riccio che guardava i suoi compagni che si erano accerchiati tutti intorno a lui. Aprì le braccia e scosse lievemente la testa, "che gli devo dire?" Chiese a bassa voce, "tanto ce l'ha con me."
Guardai Mida dall'alto.
Si passava una sorta di mattarello sopra ai larghi cargo viola scuro e poi sulla spalla scoperta dalla sua solita e stretta canotta nera.
Perché aveva un mini mattarello?
Era comunque bello.
"Penso che voglia solo sentirsi dire che andrà bene" mi intromisi nel loro discorso, punterellando le dita contro il legno liscio.
Mida si voltò velocemente verso di me, sul suo visetto una strana espressione sorpresa.
Forse era confuso perché gli stavo rivolgendo la parola di nuovo?
Non lo facevo per lui, lo facevo perché mi piaceva bacchettare le persone quando si mettevano l'empatia sotto al sedere per sedercisi sopra.
"Ma non andrà bene se continua così" mi fissava con i suoi occhi castano chiaro, la pelle completamente tirata dalla rigidità mentre tutti i ragazzi vicino a lui osservavano lo scambio fra me e lui.
Inclinai lievemente la testa verso la mia spalla sinistra, lo guardavo e non avevo vergogna di farlo o farmi beccare.
"Penso lo sappia anche lui" risposi, nella voce c'era tutta la tranquillità che mi stava dando la meditazione con Joseph, "non c'è bisogno di farglielo presente sempre."
A me piaceva il suo modo di essere, in realtà, ammiravo l'onestà era qualcosa a cui costantemente puntavo come obiettivo e come coppa d'orata ma non avevo idea di come avrei potuto reagire io se fossi finita sempre per ultima e gli altri non avrebbero fatto altro che ricordarmelo.
"Ora sei diventata tutto d'un colpo compassionevole?"
Sorrisi leggermente, increspando le labbra.
Era arrabbiato con me e non capivo perché lui si sentisse offeso e in dovere di parlarmi con tutte quelle parole impregnate d'ira.
Avevo diritto solo io di sentirmi così, lui aveva perso qualsiasi facoltà di fare la vittima.
Mi alzai, mettendomi in piedi sullo scalino centrale e mi voltai completamente verso di lui.
"No" replicai decisa, "però Mida" aggiunsi scendendo uno scalino, "devi cercare di capire anche un po' gli altri, non solo te stesso" arrivai con i piedi sul tappeto blu e mi voltai verso la sua figura, "e lo so che non lo fai perché sei cattivo, non lo sei per nulla, ma perché non sopporti vedere le persone arrendersi quando si tratta di queste cose ma ogni tanto gli esseri umani vogliono solo un pat pat sulla testa" gli sorrisi, "e vogliono sentirsi capiti" mi girai per andarmene.

Paris Latino - Mida Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora