I knew you'd haunt all of my what-ifs

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A S., sei in tutto quello che penso, e che amo, e che scrivo (che poi tu metti in ordine).

A C., hai fatto la copertina più bella di tutte la notte di Natale, ti voglio bene.

Alle mie amiche, questa storia nasce per voi e non potevo che dedicarvela.



Di notte si dorme e non si sta svegli a pensare, gli diceva sempre suo padre, consiglio che avrà mutuato da qualche filosofo. Simone era certo, in buona misura, che tutti i consigli di suo padre avrebbe potuto ritrovarli tra le pagine impolverate dei libri che riempivano gli scaffali della libreria nel suo studio a Villa Balestra. Poco male, era tanto tempo che Simone non ascoltava più i consigli di suo padre.

Scrollò le spalle e allontanò il lenzuolo. Il rumore dei suoi piedi scalzi sul pavimento era il solo suono udibile nell'appartamento di Simone. Nemmeno Roma sembrava essersi ancora svegliata.

L'insonnia, instancabile e fedele compagna di Simone, almeno gli permetteva di vedere Roma tingersi di arancione-giallo-pesca-oro, pensò il giovane, mentre inseriva una cialda nella macchinetta del caffè. Fu Nietzsche, se Simone non ricordava male, a parlare di alba come nascita e di tramonto come morte, e lui aveva trovato sempre più affascinante l'aurora. Scosse la testa come ad allontanare quei pensieri. Suo padre era morto da poco meno di dieci anni, aveva studiato matematica e si era tenuto ben lontano per tutto quel tempo dai calendari con una massima filosofica per giorno, ma comunque non riusciva a impedire alla sua mente di tornare tutti i giorni, più volte al giorno, alle grandi domande sul mondo, sull'uomo, Dio, la natura, l'universo e milioni di altre cose che aveva sentito distrattamente per anni borbottate dal padre o in una polverosa classe di liceo.

Il clic della macchinetta del caffè lo distrasse dai suoi pensieri. Simone imprecò sottovoce vedendo quanto fosse venuto lungo il caffè e lanciò uno sguardo distratto ai libri ammucchiati sul tavolo della cucina. Aveva la seconda ora quel giorno, e questo significava avere altro tempo da impiegare riflettendo su quando avrebbe potuto recuperare le ore di sonno perse.

Negli anni era riuscito a gestire, all'incirca, la sua ingombrante coinquilina, ma la sera prima, quando aveva allungato le mani in fondo al cassetto della cucina per ritrovarsi tra le dita un quadrato argentato vuoto, non aveva proprio voglia di mettersi nel traffico di Roma di domenica sera per andare alla farmacia di turno per un blister di Lorazepam. Aveva chiuso il cassetto e si era disteso sul divano, pensando che non gli sarebbero serviti proprio quella notte, no? Era arrivata precisa come una legge matematica, e forse Simone dovrebbe ricordarsi che, se l'energia è sempre uguale alla massa per la velocità della luce elevata al quadrato, e che se l'area di un quadrato è la misura del lato per sé stessa, allora se non ha comprato i sonniferi la sera prima quella notte non chiuderà occhio. E che non deve scherzare né con le leggi della matematica, né con le leggi dell'universo che gli fanno capitare le sfighe peggiori al momento sbagliato, come non dormire la notte prima del primo giorno di scuola. E anche se non è lui lo studente, e di primi giorni di scuola ne ha visti diversi, c'è sempre qualcosa che lo agita. Un giro di parole molto lungo per dire che avrebbe avuto disperato bisogno di Lorazepam e invece era in piedi, in boxer e maglietta, a piedi nudi, nella sua cucina, con un caffè troppo lungo e ormai freddo, a vedere il sole sorgere su Roma e a pensare a suo padre, alla filosofia e alla matematica, due mondi opposti, quando avrebbe dovuto essere ancora avvolto dalle tenere braccia della fase REM.

Simone assaggiò con fare temerario il caffè freddo poi lo buttò nel lavello della cucina. Non meritava anche quella tortura quel mattino.

Lasciò la cucina e si diresse in bagno. Abbandonò i vestiti sulle piastrelle del bagno nella speranza che l'acqua calda e i suoi vapori gli schiarissero i pensieri. Non funzionò, senza alcuna sorpresa da parte di Simone. Il modo in cui l'acqua gli scorreva sulle spalle gli ricordava come l'aria umida scendeva sui palazzi di Roma. La luce che penetrava dalle finestre del suo bagno era vischiosa e pesante, strisciava appiccicosa sul lavandino e sugli asciugamani. Simone si ritrovò a pensare che non era una mattina come le altre, come se l'universo mandandogli insonnia, caffè freddo e quell'aria collosa volesse dirgli qualcosa.

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