Simone aprì gli occhi lentamente. Un paio di labbra morbide si appoggiavano a intervalli brevissimi sulla sua spalla nuda.
"Manu..." sospirò Simone. Manuel fece scivolare un braccio lungo il suo e trovò la sua mano, la intrecciò alla sua. "Buongiorno" gli sussurrò Manuel in un orecchio. Continuò a baciargli la spalla e risalì fino al collo. "Dobbiamo andare a lavorare" gli annunciò, affondando la faccia nell'incavo del suo collo.
"Vai tu" sbuffò Simone. "Io ho la seconda ora"
"È assurdo che sia io a dovertelo ricordare ma... sei un professore, Simone" gli fece il verso Manuel.
Simone grugnì. "Va bene, mi alzo" si arrese. E non si mosse. Manuel premuto contro la sua schiena, le sue braccia a circondarlo, le sue labbra premute contro la sua pelle nuda era da prenderci una casa in affitto, con un mutuo di cinquant'anni, non era importante, non si sarebbe mai mosso da lì.
"Ti concedo solo un altro secondo" mormorò Manuel contro la spalla di Simone. Fece scorrere le dita per tutta la lunghezza del suo braccio, sentendo con i polpastrelli ogni singolo muscolo. Gli lasciò un ultimo bacio sulla spalla e si allontanò da lui.
Simone rabbrividì sentendo mancare il peso di Manuel contro di lui.
"Lasciami morire qui" si lamentò Simone.
"E poi come faccio senza di te?" chiese Manuel, gli tirò via il lenzuolo. "Vestiti" gli ordinò. "O a lavoro non ci andiamo più."
Simone lo guardò vestirsi. Infilare un capo di abbigliamento dopo l'altro, il nastro della notte precedente che si riavvolge.
Simone guardò i suoi vestiti ancora fradici sparsi per tutta la stanza.
"Non penso di poterti accontentare" e fece un gesto a indicare la stanza.
"Beh, Simone, sembrerà strano a te quanto lo sembra a me, che sia proprio io a ricordatelo, ma, di nuovo, sei un professore e quindi in una scuola ci devi andare vestito" borbottò Manuel, spalancando l'armadio. "Quindi ora troviamo qualcosa da metterti."
"Non so se mi entrano le tue cose, Manu" gli ricordò Simone.
"Oh, perché sei grande e grosso e io facevo rugby" lo scimmiottò, cercando tra i vestiti. "Anche io ho fatto palestra, eh" estrasse una maglietta da una pila.
"Me ne sono accorto" gli sorrise Simone.
"Sta zitto" gli rispose Manuel, cercando di mascherare un sorriso. E le guance incandescenti. Gli lanciò un paio di mutande. "Queste ti vanno bene sicuramente. E non metterti a fare battute che sono già in ritardo" lo ammonì.
"Ti pare..."
"Mh, sì, certo" mugugnò Manuel.
Esaminò un'altra maglietta. "Provati questa"
Simone se la infilò, poco convinto. E aveva ragione. Manuel scoppiò a ridere. "Ti sta tutta attillata" spiegò, con il fiatone, asciugandosi le lacrime. Simone si incupì. "Ok, ho capito" borbottò e si tolse la maglietta con fare nervoso.
"Come sei permaloso!" lo punzecchiò Manuel, già alla ricerca di un altro indumento da dargli. "Mica ho detto che sei brutto. Amore, a te sta bene tutto"
Simone perse diversi battiti. Forse il suo cuore stava per fermarsi per sempre. Nessuna rianimazione cardiopolmonare e nemmeno il miglior chirurgo d'urgenza sarebbe riuscito a riportato in vita dopo aver sentito Manuel chiamarlo amore, pensò, mentre il cuore riprendeva a battere furiosamente e infrangersi con forza contro la gabbia toracica.
Manuel si voltò verso di lui reggendo in mano una maglietta che sembrava un po' più grande della precedente. "Ho sbagliato qualcosa?" chiese, forse perché aveva avvertito il silenzio innaturale fra di loro, o forse perché aveva visto lo stupore dipinto sul volto di Simone, che gli faceva avere la bocca dischiusa e gli occhi strabuzzati.
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Critica dell'amor pratico
RomanceSono passati circa dieci anni da quando Manuel Ferro è partito per il Giappone con suo padre. Simone Balestra insegna matematica nel suo vecchio liceo e crede di essere inseguito dai fantasmi.