Capitolo I

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Quella notte passò molto lentamente. Era lenta e pure priva di speranza e di vita. Neanche un uomo si vedeva quella sera, erano tutti rintanati chi nella propria tiepida stanza, chi davanti a un fuocherello semispento.

Per le lunghe vie del paese vi si potevano scorgere qualche volta dei poverelli o delle prostitute, attive per di più di notte attendendo una vita migliore che quasi sempre non arrivava. Elle erano brave ragazze e nessuno l'aiutava, seppure avessero regalato a buon prezzo piacere e godimento. L'uomo era d'una cattiveria e di un egocentrismo fuori dal comune, per non parlare delle condizioni in cui erano tenute quelle povere donne. Le meretrici non erano le uniche a passar, come detto, per quella strada, ma anche poveri uomini seppur di cuore.

Uno di questi si chiamava Alfredo, meglio conosciuto come Goffredo per le disarmoniche proporzioni: aveva infatti un braccio più lungo dell'altro. Questo gli s'era rotto, già da lungo tempo, e non aveva mai avuto modo di apportare le opportune medicazioni. Era cieco ad un occhio, un po' come alcuni gatti di strada, questa volta però la disgrazia non fu provocata dal duello con un altro suo pari, bensì cadendo per alcuni rovi, fratte colme di spine e funsero da aghi pungenti. Goffredo era un uomo di mezz'età molto magro, di statura nella media.

Aveva gli occhi verdastri (uno bianco poiché cieco) capelli scuri alle volte pettinati e unti e nelle unghie rovinate dalla fatica di crearsi da vivere. Teneva sempre gli stessi vestiti ma non portava la canotta, figuriamoci le scarpe.

Goffredo era un uomo italiano, che nacque nel 1305, l'undici maggio, in una piccola località vicino Firenze.

Ebbe una sorella, una prostituta appunto, morta perché uccisa; una madre, allora morta di parto; un padre, un violento ubriacone e giocatore; un fratello maggiore, primogenito, partito chissà dove; una sorellina anch'ella morta durante il parto della madre di Alfredo.

Goffredo fu un giovane introverso e insicuro, che non poté allora istruirsi ma imparò nel tempo.

Crebbe con l'amore, che divenne però tragedia. Infatti, la madre di Goffredo e la sua sorella gemella, nata cioè qualche istante prima erano molto amorevoli, sinché non scomparvero ambedue. Una notte il giovane Alfredo, dormendo, ebbe modo di sognare qualcosa che si rivelerà poi in parte vero, la morte della sorella uccisa, lui travolto da un'onda nera.

La sorella, come abbiamo detto, morì e Goffredo si ricordò di quel sogno antico, non ricordò però quel particolare che lo portò ad una presunta morte.

Abbiamo anche detto che il buon Alfredo non era affatto espansivo ed estroverso, e amava per farla breve star in quella condizione. Mi spiego, al di là di alcuni anni tristi e affannosi, egli si voleva bene, stette bene con sé stesso. Amava la sua introversione, la sua mania di tristezza, la sua serietà, il suo piccolo ossessivo egocentrismo. Era un genio, inutile girarci attorno, aveva in sé doti innate che portò sin dall'infanzia.

L'ELOGIO AI MATTIDove le storie prendono vita. Scoprilo ora