L'ELOGIO AI MATTI

Capitolo V

Con l'arrivò della peste del 1348, la situazione di lì già negativa peggiorò ulteriormente.

La vita volle che il buon Goffredo incappasse nella pestilenza, e che s'ammalasse di peste nera bubbonica, che gli garantì la morte poco tempo dopo. Alfredo non poté contare né sulla vita, né sulla sua arte, né sulla società del tempo, che poteva garantirgli una morte in malo modo. Ma, come appena detto, la vita non gli concesse una piena libertà.

Dopo la devasta della peste nera, Giustino e Rosa ne scamparono, e furono contenti inizialmente, finché non capirono che il buon Alfredo fosse morto. Perché è proprio venendolo a sapere, che i due caddero in una tristezza incolmabile. Restarono scontenti troppo, dannatamente troppo. Eppure non si poté tornare addietro, quel ch'era fatto era fatto.

Passarono quei mesi lenti e noiosi, eppure Rosa e Giustino non si disunirono, ed ebbero modo di continuare più uniti lo scopo che s'erano allora posti: arrivare ad una condizione di vita normale.

Rosa in quei giorni, a dir poco disperata dalla morte del buon Goffredo, decise di riscattarsi e porre fine alle sue sofferenze lavorando con l'unica cosa la potesse rendere felice: l'arte.

Era sempre stato brava nel disegno o, in generale, nelle arti figurative.

Un giorno arrivò a conoscenza di un testo scritto qualche tempo prima, dal titolo: "Gli amori che vanno oltre."

— "Caspita! Ecco come potrò emergere! Potrò illustrare questo poemetto di nemmeno duecento versi!" — si ripeteva, contenta e audace, la bella Rosa. — "Conosco uno in grado di spiegarmelo, lui saprà come aiutarmi!"

Ma non appena giunta, venne cacciata bruscamente fuori giacché le donne al tempo dei fatti che stiamonarrando non potevano giammai dedicarsi a qualsivoglia attività artistica.

Anche lei non riuscì ad emergere, per non parlare di Giustino, troppo povero e disilluso.

Questa fu la morale della storia o meglio dire "la realtà" di questo racconto: l'arte può essere capita, ma non sempre è stata accettata.