Capitolo Quinto

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Scorpius sapeva che non era tutto lì.
Non sapeva dire, di preciso, da dove si originasse quella strana inquietudine che lo aveva portato a ribaltare le carte in tavola.

Di tutta quella faccenda che coinvolgeva la sua famiglia - quel che ne rimaneva - non ne era poi così stupito: non era affatto sorpreso di quel che stava saltando fuori riguardo a suo nonno, di tutti i sotterfugi, le macchinazioni squallide e tutto il resto.

Ne era semplicemente seccato.

Pensava che fosse davvero da idioti, tentare pateticamente di riportare in auge delle questioni vecchie e putride. Molto più da idioti, era farlo nonostante, in vita tua, ti avessero graziato per ben due volte, e soprattutto non per merito tuo.

Ne era seccato, e un filino incazzato nero, dal momento che Lucius Malfoy non aveva avuto alcun riguardo verso la sua famiglia, soprattutto verso il lavoro immane che suo padre aveva fatto per ripulirne il nome, grazie soprattutto all'aiuto di sua madre.

Ed è proprio a lei che rivolse, infine, i suoi pensieri.

Sua madre gli diceva sempre che una tale profondità, da una personcina di appena quattordici anni, non potresti mai aspettartela.

Ma lei lo sapeva, lo aveva sempre saputo, che il suo ragazzo sarebbe stato una persona formidabile. E continuò a pensarlo anche quando, nel fondo di quel letto, lei lo vedeva sempre lì, sempre premuroso, attento, a tenerle la mano, a leggerle Bulgakov, del Maestro e di Margherita, che lui l'aveva già capito, forse, che è tutta una questione di scelte, alcune fino all'inferno e ritorno magari.

E ultimamente, di scelte che lo avevano portato al vivere infernale, ne aveva fatte di alcune.

Ancora pensava a Rose. Prima di fare ogni cosa, prima di assolvere alle più semplici ed elementari funzioni vitali, anche prima di fare quel che stava per fare, lei era presente nei suoi pensieri, nelle sue preoccupazioni.

L'amava, di questo ne era certo, e lo avrebbe fatto, probabilmente, sempre. Ma di amarla così tanto, forse, non se n'era mai accorto.
Con un amaro sorriso, pensò a quanto fosse vero, che soltanto sull'orlo del vuoto, prima della caduta, ci si accorge di quello che si è lasciato indietro, volontariamente o meno.

Lui lo sapeva. Sapeva di amarla, eppure non in maniera così imprescindibile, non consapevolmente come stava accadendo in quei giorni.

"Bastardo egoista!". La sua coscienza continuava a ripeterglielo. E lui, ancora una volta, si sentiva dilaniato.

Si riscosse da quel turbine spiralico quando, dalla porta davanti la quale stava seduto, si sentì chiamare.

"Può entrare, signor Malfoy." Una donnina minuta e sorridente lo fece passare, chiudendosi la porta alle spalle poco dopo, e lasciandolo solo.

"Scorpius!"

*


Hermione non passava una notte insonne da quasi vent'anni. La scuola, il 1998, poi la nascita di Rose - chi l'avrebbe mai detto, che una bambina così piccola avesse potuto fare un casino così grande - erano acqua passata ormai.

La vita procedeva senza intoppi del genere; perché di intoppi possiamo parlare, riferendoci alla mancanza di sonno. E Hermione, prima di quelle settimane, prima di quegli avvenimenti, procedeva con regolarità nell'inesorabile scorrere del tempo.

Una vita come la sua - e che vita, ricordiamocelo senza menzionare per filo e per segno - non ne aveva bisogno. E fino a qualche tempo prima, avrebbe potuto giurarlo solennemente, di aver definitivamente concluso le sue giornate dai finali sconclusionati.

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