III

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{* =episodi del passato
{frasi in corsivo=insegnamenti e regole che le vengono imposte fin da bambina.

Iside

Non riuscivo a credere ai miei occhi.
Per la prima volta qualcuno mi aveva parlato spontaneamente.

C'era ancora una vocina, nel profondo della mia anima, che sussurrava:
<< Non tutti ti ignorano.
Non tutti ti fanno del male.
Non tutti sono uguali.
Non tutti ti ingannano.
Fidati per una volta.>>

Ma come sempre, con un tuffo improvviso negli amari ricordi, facevo un passo indietro.

Non bisogna avere troppe aspettative nella prima persona che sembrava sincera.

Avrei dovuto essere più accorta, non dovevo dimenticarmi che avevano cercato di rapirmi.

Elijah...
Ripensai ai suoi modi fin troppo gentili.

Non devi fidarti di nessuno.

Non appena atterrò l'aereo mi alzai e presi tutti i miei effetti personali. Quando mi salutarono gli assistenti di volo stesi la mano. Sorrisero e la agitarono un po'. Varcata l'uscita, i raggi del sole mi illuminarono il viso. Venni avvolta dal calore e dal fresco della brezza.

Non c'era il silenzio accanto a me. Migliaia di suoni diversi, provenienti da ogni direzione, coloravano l'attimo.

Non parlare mai per prima, ascolta.

Entrata nell'aeroporto mi precipitai verso la zona dei controlli. Aspettavo con ansia notizie di mia madre, ma anche l'email di spiegazioni da parte di mio padre. Dovevo sapere che minaccia incombesse su di me. Essere stata rapita non era parte del piano.

Squillò il telefono. Era Gibson.
<<Pronto?>>
<<Piccola amazzone, sei atterrata?>>

*

L'intelligenza artificiale scompariva e appariva troppo velocemente.
<<Iside sei in ritardo di 10 centesimi di secondo. Vuoi diminuire la velocità?>>
<<No, Sam.>>
<<Sei sicura? Se continui così aumenterà la possibilità di mancare il colpo sul bersaglio finale del 32%.>>
Non la ascoltai. Dovevo dimostrare a mamma che ero pronta per le missioni. Volevo diventare una di loro. Volevo mi considerassero un loro pari. Dovevo farcela.
Corsi lungo il filo in metallo a 3 metri da terra. Non dovevo guardare in basso. Afferrai la sbarra sopra di me con uno slancio e ci salii sopra. Sfilai la pistola dalla tasca. Agguantai la corda, mi lanciai con sicurezza, mirai e partì il colpo. Si aprì la porta. Non avevo centrato il bersaglio.
Dannazione.
Forse erano finiti i colpi.
Riemersi dalla vasca di cubi in gommapiuma. Sulla soglia c'era un uomo. Con il cappellino forato al centro.

Qualcosa almeno lo avevo preso.

<<Mi sono visto passare davanti vent'anni di vita.>>

Si portò una mano al cuore espirando rumorosamente. Era pallido.

Samantha era occupata a stampare le frequenze cardiache, così decisi di parlare al posto suo (ogni volta che parlavo dovevo ottenere il consenso del mio tutore, ma in quel momento era impegnato).

<<Per questo c'è un cartello sulla porta. In ogni caso non era colpa mia se ti avesse preso il proiettile. L'avvertimento c'era.>>

<<Sì, ho capito Wonder woman, ma se ci fosse stato un cartello lo avrei visto.>>

<< Prova per credere.>>

Così mi diressi verso la porta, la aprii e lesse ad alta voce il cartello che gli avevo indicato.

BlindnessDove le storie prendono vita. Scoprilo ora