Capitolo 7

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ANDREA

Yo llevo en el cuerpo un dolor
que no me deja respirar
llevo en el cuerpo una condena
que siempre me echa a caminar
~Desaparecido, Manu Chao

I giorni passavano, lenti e inesorabili. Ormai vivevo in un loop da cui non riuscivo più a uscire. Scuola, casa. Casa, scuola. Casa, lavoro. Lavoro, casa. Un circolo vizioso continuo, che non finiva mai. E lo leggevo, negli occhi di mia madre, la preoccupazione che provava nei miei confronti. Sapevo di starmi lasciando andare, ma non trovavo le forze per reagire. A scuola non ascoltavo neanche più le lezioni: le prime ore le passavo a dormire, nelle altre rimanevo chiusa nella mia bolla non parlando con nessuno.
Un giorno una mia compagna di classe, Jasmine, si avvicinò a me durante la ricreazione. Mi fece strano, perché lei era una simpatizzante delle Oche degli Aristogatti, infatti a scuola si vestiva sempre con gran stile, anche se devo ammettere che sapeva distinguersi dalla massa, riusciva a essere originale.

"Scusa Andrea..."

La guardai in modo scocciato. Avevo ancor meno voglia di instaurare rapporti con un essere umano, ma studiando il suo sguardo gentile mi dissi che prima l'avrei fatta parlare, prima si sarebbe tolta dai piedi.

"Dimmi."

"Ecco, mi chiedevo se potessi aiutarmi con questo esercizio di economia, io non l'ho capito..." domandò un po' imbarazzata, non so se per paura di avermi disturbata o perché non avevamo mai parlato sostanzialmente prima di quel momento.

In risposta, mi limitai a prendere il quaderno che aveva tra le mani e a iniziare a illustrarle cosa dovesse fare, dando un'occhiata di tanto in tanto per vedere se fosse concentrata. Alla fine della spiegazione, mi voltai nella sua direzione, e la trovai entusiasta.

"Grazie mille Andrea, mi hai salvato la vita, ti devo un panino! E, comunque, le mie condoglianze." esclamò Jasmine con un mezzo sorriso prima di dirigersi verso l'uscita della classe. Mi limitai a guardarla in modo confuso fino a che non sparì dalla mia visuale. Quella ragazza era proprio strana.

In autobus, ero immersa nei miei pensieri fino a quando la mia spalla non venne sfiorata. Mi girai di scattò e fui sorpresa di ritrovarmi davanti Simon.

Vidi dal suo labiale dire qualcosa, ma dovetti stoppare la musica per capire.

"Puoi ripete quello che hai detto?"

"Ho chiesto se potevo sedermi qua accanto a te."

Beh, lui è stato gentile con te, potresti ricambiare per una buona volta...

Annuii semplicemente la testa e spostai il mio zaino dal sedile alla mia destra. In risposta lui mi ringraziò e mi sorrise.

"Pesante oggi, vero?"

Per la seconda volta in meno di cinque minuti, fui costretta a spegnere di nuovo Spotify per poterlo ascoltare.

"Come?"

"Chiedevo solo com'era andata la giornata" ripetè Simon con un tono di voce basso.

"Ah..."

Non sapevo che dire, anche perché non c'era molto da dire.

"Piuttosto intensa per le due ore di economia, per il resto tutto nella norma." dissi cercando di troncare la conversazione il prima possibile. Ero consapevole che non mi sarei fatta di certo amare con quell'atteggiamento, ma non importava e tantomeno mi interessava. L'unica persona di cui mi interessasse non c'era più, quindi niente aveva più senso.

Simon capì il mio stato d'animo e semplicemente sorrise. Se gli occhi potessero parlare, in quel momento l'avrei ringraziato mille volte. Non avevo un carattere facile, lo sapevo bene, e la mia indifferenza allontanava tutti da me, ma il fatto che lui fosse ancora lì, lo notavo, eccome, e me ne sarei ricordata per molto tempo.

Quel pomeriggio dovevo andare dalla psicologa. Le sedute diventarono sempre più motivo di sofferenza, perché avevo una corazza attorno al cuore. E se l'avessi tolta, sarei stata trafitta dalle frecce del nemico.

Quel giorno però, si vede che avevo superato il limite, perché finii per sbottare.

"Voglio solo restare in silenzio!" urlai al limite della disperazione. Il silenzio pesante che ne conseguì, mi fece capire che forse ero stata troppo dura. Ma tutto il turbine di emozioni che provavo in quel periodo aveva preso il sopravvento su di me in quel momento, e non riuscivo a controllarlo.

E rimanemmo così, per tutto il resto del tempo, fino alla fine dell'ora. Solo quando mi diressi verso la porta Rosa osò fiatare.

"Non potrò mai aiutarti se non allunghi anche tu la mano verso di me."

"Infatti non ha senso continuare, giusto?" sputai velenosa senza voltarmi, prima di chiudere la porta del suo studio dietro di me.

Tornata a casa, mi rinchiusi in camera ascoltando la musica sdraiata sul letto, guardando il soffitto priva di emozioni. Sentivo di non riuscire neanche a respirare, avevo un macigno che mi opprimeva, affillato da squarciarmi il petto, sensazione familiare per me, e pesante da schiacciare la gabbia toracica.

Poi, con una forza a me sconosciuta, mi misi seduta nel letto, vagando con lo sguardo sulla mia stanza. Iniziai, non sapendo neanche io perché, a scaraventare tutto ciò che era sopra la mia scrivania in modo casuale.

Mi fermai solo quando mi ritrovai tra le mani una polaroid di me ed Elle. Ci ritraeva sorridenti, in spiaggia al tramonto.

Una lacrima solitaria scese e bagnò la foto, che prontamente asciugai col pollice.

E fu lì che rinsavì e capì che non potevo andare avanti così. Mi stavo autodistruggendo, e continuando non sapevo dove sarei potuta finire. Dovevo fare qualcosa, dovevo riprendere in mano la mia vita.

Uscii di casa e andai al parco. Spesso passavo i pomeriggi a scrivere sul prato, circondata dalle margherite.

Amavo scrivere, era una passione segreta che quasi nessuno conosceva, ed ero ancora più gelosa delle mie poesie, infatti solo Elle era a conoscenza di questa cosa, e mi aveva anche più volte spronata a pubblicarle.

Mi sedetti alla nostra panchina, e tirai fuori l'accendino che avevo portato da casa. Con l'altra mano tenni tutte le lettere scritte da persone che un tempo facevano parte della mia vita. Contenevano tante promesse non mantenute, e affetto mai dimostrato.

E così, con solo le stelle a fare da testimoni, le bruciai. Non lasciai neanche un pezzetto di carta.

Era ora di dire addio alla vecchia me.

Era ora di svoltare le cose.

Lo dovevo a lei.

Lei se lo meritava.

Si meritava giustizia.












*Spazio autrice
Buongiornissimo,
ovviamente sempre in ritardo, ma eccoci qua con il nuovo capitolo.

Andrea sembra oppressa da tutto ciò che le è accaduto, fino a quando non decide che è ora di cambiare. Ma credetemi, il viaggio è ancora lungo e c'è tanta strada che deve ancora fare...

Onestamente non vedo l'ora di pubblicare il prossimo capitolo perché ci saranno tanti colpi di scena, quindi occhio🫢

Ma non dirò altro, sono contro gli spoiler🤪

Lasciate un commento e una stellina se vi va 🙃

Ci vediamo prossima settimana :)

La robbyy 🫶🏻

Anche i fantasmi sanno scavalcare le finestreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora