C'erano momenti in cui credevo che l'universo creasse congiunzioni astrali e sfighe galattiche al solo scopo di farmi diventare una comica di stand-up.
La mia vita iniziava ad essere un'accozzaglia di eventi ridicoli sui quali avrei potuto senza sforzo scrivere uno spettacolo di tre ore; così magari qualcuno si sarebbe fatto un paio di risate.
Qualcuno che non fossi io, perché si sapeva che tutto ciò che diventava una storia divertente doveva essere stato, prima di tutto, un momento terribilmente imbarazzante.
Come quello di quel pomeriggio.
Dopo la chiamata con Lucia, avevo seguito la strada fino a un piccolo parchetto e, seguendo a caso alcuni gruppetti di ragazzi che sparivano tutti nella stessa direzione, avevo scoperto oltre una folta e lunghissima siepe un sentierino battuto che correva parallelo al corso del Mississippi.
Mi ci ero infilata con discrezione e, attenta a non rompermi l'osso del collo, mi ero addentrata nelle sterpaglie fino ad accucciarmi sulle rive del fiume, un paio di metri più in là.
Ero rimasta ferma una decina di minuti, lasciando che lo scorrere dell'acqua mi mettesse in pace.
Svuotata da tutta l'ansia, lo stress e l'irritazione, mi ero presto trasformata in un guscio solitario con lo sguardo abbandonato sulle onde scintillanti.
Avevo appoggiato la testa sulle ginocchia, che tenevo strette tra le braccia, e avevo pianto in solitudine tutte le mie lacrime.
Poi avevo sbuffato più forte possibile, ero scattata in piedi e, riempiendo il vuoto con una buona dose di rabbia e disdegno, ero tornata sul sentierino per proseguire sulla mia strada.
A quel punto camminavo come un treno, volendo rientrare a casa mia prima possibile.
La certezza che l'universo adorasse prendermi in giro mi piovve in testa proprio in quel frangente, quando ripresi consapevolezza della gente che mi stava intorno.
Erano quasi tutti ragazzi giovani, forse studenti dell'università, vestiti in tuta o abiti comodi; alcuni passeggiavano, altri si scambiavano appunti seduti nell'erba, fumavano o ascoltavano la musica dalle casse portatili.
Tutti sembravano starsi godendo la mattinata.
Tutti tranne uno, che, con camicia e pantaloni neri, l'andatura impostata e le spalle dritte, stonava parecchio in quell'atmosfera scanzonata.
In compenso, trovava perfettamente posto nei miei pensieri.
Inchiodai nella ghiaia, facendo un buco per terra con i talloni.
Non era possibile che fosse lui.
Iniziai a insultare mentalmente il goblin sadico i fili del fato in mano che mi metteva sempre in quelle situazioni, ma non fu una buona idea.
Proprio mentre pensavo a un modo per defilarmi, un tizio che avevo dietro mi investì.
Colta di sorpresa inciampai in avanti, soffocando un grido di panico, e atterrai di faccia nel ghiaino.
Il malcapitato che mi aveva spinta, il cui mestiere evidentemente non era l'equilibrista, mi cascò dritto sulla schiena, piantandomi un gomito tra due vertebre.
L'impatto fu così forte che collassai su me stessa e per un attimo non riuscii a respirare. Sentii il peso sollevarsi in fretta dalla mia schiena e la voce del tizio inveire contro di me.
Peccato che fossi troppo impegnata a contorcermi dal dolore per difendermi, o anche solo rendermi conto di cosa stesse succedendo.
A questo punto il mio immaginario pubblico di stand-up starebbe ridendo di gusto.
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Eredità in rosa
ChickLitCos'hanno in comune la figlia di uno degli uomini più ricchi d'Italia e l'avvocato di punta di uno studio legale sul lastrico? Nulla. Chiara sente che la propria vita è fuori controllo. Alexander sa perfettamente cosa vuole. Chiara si lascia tutti...