9- Ru

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▪︎ Katsuki ▪︎

“...E mi ha abbracciato.” La foto di Ru mi guardava con la sua solita espressione felice e spensierata.
Non era una cosa normale quella che facevo io ma quando non hai amici cerchi un'alternativa. Sapevo però che la mia era particolarmente deprimente.

La tomba del mio cane era sempre pulita e tenuta bene, era morto un anno fa.
Io con Ru, il cane, ci parlavo tantissimo quando ancora era vivo. Lui non giudicava, non ti rispondeva con domande scomode e ti rassicurava leccandoti la faccia.

Mi mancava il mio cane ma non volevo nemmeno adottarne un altro, era ancora troppo presto. Al massimo avrei comprato uno di quei criceti bruttissimi che Arita adorava.

“Cioè poi mi ha anche rassicurato, non capisco se mi odia e vuole solo fare il gentile, se mi sta prendendo semplicemente per il culo o se gli faccio pena perché sa di Arita”

Una foglia cadde da l'acero rosso che era piantato lì vicino e si appoggiò sopra la lapide di Ru. La scaccai via e, dopo aver innaffiato le piantine che mia madre si ostinava a mettere sopra la povera anima di Ru, estrassi l'oggetto che mi ero portato dalla tasca.

“Buon compleanno amico” Adagiai l'osso di gomma azzurra subito sotto il suo nome scolpito nella pietra e me ne andai, lanciandogli solo un'ultima occhiata veloce.

■■■

La testa mi scoppiava, ero stato mandato a perlustrare una serie di vicoli stretti e bui dove recentemente erano stati avvistati dei movimenti sospetti, odiavo quei merdosi compiti.

La LOV stava dando a tutti l'impressione di star combinando qualcosa e tutti erano fottutamente nervosi e rompipalle.

Avevo la cazzo di voglia di picchiare qualcuno ma in quei merdosi cunicoli c'erano solo dei cazzo di topi obrobriosi.

Svolta l'angolo e mi premetti gli indici sulle tempie cercando di alleviare il mal di testa.

La maestra di Arita mi aveva chiamato poco prima di best Jeanist dicendomi che mio figlio facendo piangere le bambine tirandogli i capelli e i bambini chiamandoli ‘inutili comparse’, fu l'ennesima conferma del carattere di mio figlio: uguale al mio.

Un rumore improvviso mi fece spostare lo sguardo verso uno di quei fottuti vicoli. Era un suono graffiante e tremendamente fastidioso.

Entrai nel vicolo sudicio e puzzolente in guardia. Se c'era qualcuno lo avrei scoperto.

Camminai silenziosamente mantenendo alta la guardia, sentii il rumore dei miei passi che avevano appena incontrato dell'acqua e iniziai a prestare attenzione a tutti i fottuti dettagli di quel posto.

L'aria fredda, le pozzanghere sul pavimento in pietra, il muro costituito da palazzi abbandonati. Il rumore graffiante si avvicinava.

Svolta in un angolo buio e le mie mani iniziarono a provocare delle piccole scintille.
Un uomo alto e muscoloso era appoggiato di pancia al muro, le unghie spezzate e insanguinate continuavano a graffiare insistentemente il muro sporco. Gli occhi spalancati, il respiro affannoso, le vene evidenti su braccia e gambe: quell'uomo non era in sé.

Aveva dei vestiti normali ma erano sporchi e strappati, tremava e continuava a digrignare i denti tra loro producendo un suono orribile.

All'improvviso si girò verso di me, appena mi vide gli occhi gli uscirono quasi dalle orbite.

Si scagliò su di me velocemente, lo schivai e lui continuò a cercare di prendermi.
Mi afferrò una spalla e le sue unghie si conficcarono nella mia pelle.
Gli lanciai una non molto potente esplosione contro e lui si allontanò per un attimo, cercò poi di strozzare ma con scarsi risultati, gli bloccai entrambi i polsi e lo spinse contro il muro e lo ammanettai.

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