Marco Polo

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Quando ero bambino Andrea veniva sempre a trovarmi a casa il sabato pomeriggio, era il mio migliore amico, ricordo che attendevo il suo arrivo sui gradini dell'ingresso per essere sicuro di non perdermi il rumore dell'auto di sua madre sulla ghiaia.

"A cosa giochiamo Oggi?" era la domanda del giorno, sanciva il destino della giornata, la scelta sbagliata poteva rovinare il pomeriggio, ma i bambini su questo non sbagliano mai, o quasi mai, "possiamo montare i treni che ne dici? Non li abbiamo finiti" dissi speranzoso, 

"non lo so, non mi va tanto, ci vuole un casino di tempo" 

"beh Andrè allora scegli tu"

 "giochiamo a Marco Polo, io ti nascondo una cosa e tu la trovi, se l trovi te la tieni altrimenti me la tengo io" 

"secondo me mi vuoi solo fregare i giochi" dissi, il sorrisetto colpevole che affiorò sul viso paffuto di Andrea mi diede conferma dei miei sospetti, sperai che non scegliesse qualcosa a cui tenevo troppo 

"nascondiamo la trottola verde" disse, ricordo di aver accolto con sollievo la proposta, ne avevo tante, non sarebbe stata una gran gran perdita e poi non sapevo mai farle girare bene come lui.

"dove la nascondiamo?" 

"se te lo dico che nascondiglio è" rispose Andrea divertito

"no, intendevo, in quale stanza ?" 

"boh qua in salotto o nello studio al piano di giu insomma", furbo pensai, piu' probabile che non la trovi piu e probabile che se la tenga, "la vado a prendere"dissi.

Corsi su per le scale a perdifiato mentre lasciavo Andrea aggirarsi per l'ingresso certamente con l'intento di scovare le Mou, caramelle che erano la nostra grande debolezza e che mamma teneva sempre in una cioccolatiera all'ingresso, ridiscesi le scale e gli consegnai la trottola.

"Ora Marco, tu chiudi gli occhi ed io te la nascondo, quando sei vicino alla trottola io dico Polo se sei lontano allora dico Marco"

Poco dopo giunto davanti la libreria di casa sentii finalmente urlare "polo" mi avvicinai agli scaffali e iniziai a percorrere la lunghezza della stanza.

"Marco

"eh, che c'è?" 

"nono dico Marco Marco" ripetè con enfasi "insomma sei lontano, prima era Polo ora è Marco" chiarì, o pensò di averlo fatto.

Sempre piu' confuso ritornai sui miei passi e poi, in un angolo della stanza notai Isabella, era seduta sprofondata su una poltrona di velluto verde oliva, il mento poggiato sulla mano e un libro aperto in grembo, aveva osservato, in silenzio, l'operato mio e di Andrea. 

"ciao" dissi, stupito non tanto della sua presenza, che spesso aleggiava per casa quanto del suo silenzio.

"mia mamma ha quasi finito e poi andiamo via" mi rispose, come se le avessi chiesto delucidazioni in merito, "Okay" risposi indifferente, ci fu un momento di totale stasi, con Andrea che continuava a darmi istruzioni che non ascoltavo e non ricordo finche' di getto non mi usci' dalle labbra "vuoi giocare?" 

Isabella mi guardo' fisso, credo fosse la prima volta che ci scambiavamo qualche parola in piu' di un ciao, o almeno è la prima volta che io ricordi

 " ma voi lo sapete che non state giocando a Marco Polo vero? Questo è Acqua o Fuoco, e poi l'ho già visto dov'è la trottola", mi sentii improvvisamente avvampare, arrabbiato con Andrea per avermi insegnato un gioco idiota che non aveva nemmeno il nome giusto, arrabbiato con me stesso per averle chiesto di unirsi e in imbarazzo come fossi stato in mutande in mezzo alla stanza. Il suo tono sprezzante mi aveva colto alla sprovvista.

"lo sapevamo gia' che non si chiama cosi' a noi piace chiamarlo Marco Polo comunque" dissi risentito.

"non ho mai visto niente di piu' stupido di uno che si chiama Marco e gioca Acqua e Fuoco chiamandolo Marco Polo per poi restare confuso come un ebete" la fissai sgomento, incapace di rispondere, fortunatamente dalla soglia sentii Mariya, la nostra donna delle pulizie, chiamarla perentoriamente "Isabella" disse, con voce piu' alta del normale.

Lei si alzo' dalla poltroncina, piano e senza piu' posare gli occhi su di me, si diresse verso la madre che impaziente la attendeva sulla porta, "buon pomeriggio bambini" disse Mariya "Isabella, saluta" aggiunse guardando in tralice la figlia "Ciao" mormoro' lei a denti stretti.

A quel tempo dovevamo avere circa dodici anni, ricordo di averla guardata andare via impettita con la sua coda di cavallo che le ondeggiava sulle spalle esili, gia alta quasi quanto me, seppur piu' piccola, la sua andatura aveva qualcosa di cavalleresco, mi ricordava la marcia di un soldato, restai a fissarla finche' Andrea non richiamo' la mia attenzione "che stupida gallina" disse, lei non si giro'.

LA CASA SUL VIALEDove le storie prendono vita. Scoprilo ora