Patroclo.

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Un piccolissimo appartamento nel vicolo di Fuencarral; un paio di occhiali squadrati che scendono su di un naso rotondo; una borsa di stoffa sotto il braccio, piena zeppa di libri. Jeon Jeongguk è in un locale di tapas, che sta mangiando prima dell'ora desueta. Sgranocchia del pane abbrustolito e inzuppo d'olio: per oggi niente paella, il pesce col riso lo stucca. È seduto su di una delle panche di legno verniciate scure di quel locale. Nel bel mezzo del quartiere etnico, un ragazzo solo e spensierato, sta mangiando del pane coi peperoni.

"Gnam, gnam..." lo pensa, ma lo dice a voce alta. La proprietaria gli sorride porgendogli un vassoio con altri tre pezzi di pane abbrustolito. C'è sempre dell'olio abbondante, ma stavolta il pesce spada fresco è di suo gradimento. Assapora, chiudendo gli occhi, e lei lo guarda soddisfatta del suo lavoro in cucina. Qui, non sono come in Corea; qui non ti guardano storto appena entri nei ristoranti. Qui si può mangiare all'ora che vuoi, ma non prima delle dieci, perché le persone devono riprendersi dalla movida del giorno prima.

Ancora luoghi comuni. Jeongguk ritiene Madrid (tranne che per quello scapestrato quartiere multietnico) un luogo per famiglie; sicuro, una gran bella città dove girare con la testa per aria e le cuffie nelle orecchie. È soddisfatto della sua scelta: venire in Europa, per completare i suoi studi. Ancor di più del suo piccolo appartamentino di mezzo metro quadro, al di sopra di una delle strade più affollate del Chueca. Ormai, anche lui consacrato, così come quel posto, alla comunità queer. Lui, cristiano cattolico convinto, che vive una perenne vita in contrapposizione fra l'essere orgogliosamente gay e l'essere religiosamente praticante.

"Posso portarti dell'acqua?" gli chiede la proprietaria del locale. Dà un occhio al marito; sta guardando in tv la corrida del giorno prima e nel mentre sta affettando un profumato jamon spagnolo. L'acquolina in bocca. "Uh, sì, grazie. Frizzante, grazie." Jeongguk è troppo perso nella sua mangiata quotidiana. Di lì a breve andrà in università, alla Complutense; tredici minuti a piedi da casa sua, venti dal suo barretto di tapas, sperso oltre la strada principale del Chueca.

Si lecca le dita e ringrazia per il pranzo abbondante. Tutti a Madrid sono come lui: adesso spensierato, girovago con una borsetta di tela sotto il braccio, culetto ritto e la buona volontà di farsi a piedi sotto il sole cuocente della primavera il pezzo di strada per arrivare all'università.

"Arrivederci!" saluta la proprietaria del locale. Sono le ore una, e i tavolini fuori dal barretto ormai pieni: la colazione del campione, tutto troppo tardi per Jeongguk che si sveglia alle prime luci dell'alba ed incomincia a scrivere la sua tesi già dalle sei del mattino. Senza inganni: Jeongguk si sveglia presto perché soffre di insonnia ed i suoi pensieri ossessivi non sono ottimi amici del sonno sereno.

La sera prima è stato a Plaza del Sol con il suo amico Jimin ad una manifestazione per la guerra in Ucraina. Jimin l'ha seguito, molto più piccolo di lui, sua guida dall'infanzia, e lavora in un negozietto colorato del Chueca di maglie e pantaloni di marca: è nel tempo libero che sballetta per i locali del quartiere e viene profumatamente pagato.

"Non devi mollare il tuo lavoro." gli dice spesso Jungkook.

"Di notte ballo e di giorno mi riposo."

"Sì, ma non ti basta. E poi qui si svegliano alle dieci e i negozi aprono alle undici, credo che tu possa resistere alla movida ancora per qualche anno. Sei giovane." E lui abbassa la testa, ma dà ragione al suo amico. Jimin abita nel palazzo di fronte; sua nonna ha origini spagnole, ed è anche un po' rintronata. Per cui, quando il venerdì sera balla sul cubo al Chueca, adduce sempre la scusa del: "Vado a dormire da Jeongguk." Ma chissà cosa poi davvero fa. Jeongguk lo copre sempre, non c'è mai stata volta in cui Jeongguk non l'abbia fatto, a patto che continui a tenersi buono il lavoro come commesso.

epitumía | VKDove le storie prendono vita. Scoprilo ora