4. Ricordi pericolosi

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Hunter

«I've been breaking, always faking
I'm just lying to your face
And I can't tell you how it feels.»
How it feels - ZAYN

Una settimana.

È questo il tempo che mi hanno concesso i miei genitori per vivere la mia vita in pace prima di tornare a perseguitarmi.

Fisso lo schermo del mio cellulare su cui lampeggia una chiamata in arrivo come se potessi incenerirlo con lo sguardo, o anche solo farlo smettere di squillare. Sarebbe sicuramente più semplice che passare tutta la durata della telefonata a cercare di zittire la vocina che ci tiene a ricordarmi che sono un figlio difettoso che non sa fare altro che distruggere le cose e che la mia famiglia starebbe meglio senza di me, perché se non fosse per me ora non sarebbe spaccata in due da una frattura incurabile.

Lo faccio soltanto per mia madre.

È questo che ripeto come un mantra nella mia testa mentre mi ritrovo ad accettare la chiamata, nonostante sappia già che sarà una tortura gratuita. Perché ogni volta che i miei genitori mi chiamano è come ritornare ad essere incastrato nel mio passato, pieno di ombre e mostri che preferirei continuare ad ignorare.

Se fosse stato mio padre, infatti, mi sarei ben guardato dal rispondere, ma con mia madre è diverso. Lei è l'unica persona che mi è sempre stata accanto, anche se non sempre me lo sono meritato. Non ha mai smesso di fare il tifo per me anche quando tutti gli altri, compreso mio padre, mi remavano contro e si è per fino allontanata da lui per continuare a farlo, perciò risponderle al telefono è il minimo che possa fare.

«Ciao, tesoro! Come è andata la prima settimana nel nuovo college?»

Il suo affetto e il suo entusiasmo dovuto al fatto che non ho rifiutato la chiamata non fanno altro che agitarmi ancora di più, perché so per certo di non meritarmeli. Ho passato anni a cercare di spingerla fuori dal piccolo mondo che ho creato su misura per me per proteggermi dalla minaccia che costituiscono le emozioni e i sentimenti, ho fatto di tutto per farmi odiare tanto quanto mi odia mio padre e indurla a rinunciare a me come ha fatto lui. Eppure non è servito a nulla.

Perché continua ad essere così buona con me?

Me lo chiedo ogni volta che la vedo sorridermi come se fossi la cosa migliore che le sia mai capitata, ma ancora non ho trovato la risposta che vorrei. L'unica cosa di cui sono sicuro è che si sbaglia di grosso, perché io so per certo di essere la cosa peggiore che potesse capitare ad una donna speciale come lei.

«Tutto bene.»

«Davvero? Ti piacciono le lezioni? Ti sei ambientato bene?»

«Davvero.» dico asciutto, sperando che capisca l'antifona e mi liberi presto da questa inutile tortura.

«Mi manchi tanto, lo sai?» sussurra in un filo di voce per poi ridacchiare mesta. «È passata soltanto una settimana, eppure sembra che tu sia via da mesi.»

«Mhmh...» borbotto, già al limite di sopportazione a causa di tutte quelle parole dolci che, unite alle vocine dentro la mia testa, fanno più male che bene perché mi fanno sentire uno stronzo irriconoscente che non si merita niente. Soprattutto l'affetto di sua madre.

«Logan? Vi siete visti?»

Se mia madre insiste perché veda Logan, piuttosto che i ragazzi della confraternita, è soltanto perché crede che sia l'unica persona ad avere il carattere per riuscire a farmi ritornare il figlio che ero da bambino. Quello sereno, solare e affettuoso. Quello che univa la famiglia, al posto di dividerla.

Sette Minuti (Vol. Uno)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora