•°Discorsi°•

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Dopo il discorso estenuante di Tomie eravamo riuscite a trovare pace davanti ad un caffè e qualche biscotto amaro.
La discussione, anche se lunga all'incirca mezz'ora, era stata veramente logorroica, disgustosamente lunga e noiosa. Discorsi su discorsi, parole su parole che andavano sfumando nell'ossigeno che ci teneva ancora in vita. O almeno, ci ghermiva nella morte.
I discorsi di Tomie erano giusti, anche se con un fondo di vuota bugia che riempiva le parole vere lasciandole galleggiare sul filo della conversazione. Lasciandole svolazzare, lentamente..per poi appoggiarsi stanche sul fondo dei nostri "cuori" e rimanere lì. Finiti. Spenti.

«ora hai capito o hai fatto finta di ascoltarmi per tutto il tempo?»

La voce di Tomie ruppe il silenzio glaciale che divideva il mio respiro da quello della ragazza, lo ruppe talmente forte che mentre parlava i miei timpani iniziarono a fischiare dall'impatto con il suono soave della voce che mi stava ripetendo per la 15esima volta se la stavo ascoltando.

«Sissignore. Sennò perché sarei ancora qua? Se non ti volevo ascoltare ero andata in camera mia non ti pare?»

Non so che cosa ci trovava di divertente Tomie, ma scoppiò in una risata soffocata dalla mano portata davanti alla bocca nel tentativo vago di affossare quella sua solita risata isterica. Rideva di me? O forse del mio accento troppo duro per star dicendo una cosa ironica?
Forse era realmente colpa del mio accento, perché la ragazza non fece altro che, dopo aver riso a crepapelle, ripetere come un pappagallo e con il mio stesso accento la frase che avevo detto pochi secondi prima.
Dopo averla detta scoppiò di nuovo nella sua risata isterica, per poi appoggiare la schiena allo schienale della sedia e mettersi una mano lunga sul viso.

«Dio Iside, faresti ridere anche un sordo.»

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Finita la conversazione, Tomie si era liquidata con un semplice tocco sulla mia spalla in modo spavaldo, andando verso la sua camera con un passo indegnamente elegante; dalla punta delle dita alla fine del più piccolo capello con le mani rivolte al cielo, ogni forma di quella peccatrice era a dir poco perfetta.
Le forme, le curve, le cime crespe dei suoi capelli, le ispide ciocche ribelli che andavano contro le altre in un moto quasi intrigante, le sue mani lunghe ed appuntite alla fine grazie a quelle piccole unghie. Ogni forma di lei aveva un senso, pure quegli occhi neri come la pece.
Quegli occhi voluminosamente enormi, quei maestosi occhi che catturavano come trappole ogni essere animato o non che vi ci cadeva dentro. E detto da una donna che nella vita non si è mai innamorata se non di se stessa e del fegato di un paziente.. è a dir poco stupefacente.
Ed io? Iside Ljudmila Kutzetnova, io cosa avevo? Per chi mi conosce, potrebbe dire che ho gli occhi neri come la morte, i denti bianchi come la neve ed i capelli tendenti al grigio per colpa del fumo. Del mio fisico non ne parliamo.
Ero rimasta la solita acciuga stecchita nella scatoletta di acciughe belle e corpose. Ero lo scarto, la pecora nera. Ma non tutto viene per nuocere, difatti da piccola o sulla vita, la mia magrezza e l'inspiegabile disgusto per il mangiare mi avevano portato ad essere piccola ma intelligente..per quanto non mangiare mi desse forza per pensare.
Già da viva avevo problemi alimentari. Qui all'inferno molte cose erano cambiate, altre invece erano rimaste le solite: come l'abitudine di fumare, di bere mezza bottiglia di vodka al giorno se non di più, o anche la malsana ma soddisfacente abitudine di farmi male da sola..in vari modi.
Non so perché, forse per colpa del mio passato minato di traumi o forse per colpa delle varie volte in cui il mio cervello ha rischiato di andare in palla..ma trovavo e trovo tutt'ora affascinante il modo in cui punirmi mi renda più vigile su me stessa. Sulla mia psiche e sul mio corpo.
Forse perché mio padre mi faceva così effetto che parlare di lui mi faceva sbiancare, perché ancora una volta, Tomie aveva capito la mia faccia e ciò che stavo pensando..o a chi stavo pensando.
Era appena tornata dalla camera con un top nero che gli copriva il petto ed un pantalone sportivo grigio slavato che gli cadeva a pennello.

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