Capitolo 1 - Renée

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Delle volte tutto ciò che sento quando apro gli occhi è il vuoto.

Un buco incolmabile nel mio cuore, il desiderio di dissolvermi nell'aria da un momento all'altro.
Vorrei solo che il vento che entra dalla finestra mi portasse via con sè, nulla di cruento, bramo solo l'esser leggera polvere che fluttua via.
Purtroppo ciò non è possibile, devo sottostare allo scorrere frenetico della vita, piegarmi ai voleri degli altri, agli schemi incomprensibili della società: devo avere un diploma, una laurea, trovare un lavoro e rimanere fissa sulle mie scelte.
Eppure io queste scelte non le sento mai mie, forse solo per poco.
Le decisioni che prendo sfumano in incertezze poco dopo, nulla di ciò che prima mi appassionava ha più senso nell'attimo in cui qualcos'altro cattura la mia decisione.

"Inconcludente, svogliata, senza speranza".

E per questo io vorrei solo potermi diluire come zucchero in acqua, per non dover più sentirvi parlare, macchiarmi con le vostre parole, soffocarmi con le vostre cattiverie.
Però so di non poterlo fare e quindi giorno dopo giorno ingoio il buio che mi attanaglia e vi mostro la versione migliore di me, quella che sa quello che fa.

Il mio tempo sta forse finendo? Il cielo mi rivorrebbe con sé? Dovrei ascoltare la vocina nella mia testa che dice che ho già fatto abbastanza, che non c'è nient'altro che io possa fare a questo mondo?

Rinchiudo questi pensieri nella mia testa, "nella scatolina" come mi piace chiamarla.
E' forse l'unica parte vera di me, quello che penso veramente e che sono senza fronzoli o filtri per poter vivere in questa società a cui non riesco ad appartenere.
Totalmente offuscata da queste parole che si ripetono nella mia mente come un piccolo mantra ho meccanicamente già fatto l'indispensabile: caffè, doccia e mi sono lavata i denti.
Mi pettino i capelli, lascio che almeno qualche nodo che mi appartiene si sciolga e vado a vestirmi, il tempo corre ed io devo stare al suo passo.
Sistemo la magliettina nera sotto l'ampia gonna verde che mi arriva alle caviglie e mi metto su il cardigan dello stesso colore.

Una guardata veloce allo specchio, giusto per controllare che non sembri un'aliena.
Niente di più, se mi soffermassi sul mio profilo riflesso ho quasi paura che non mi riconoscerei.
Chissà come ci si sente a sentirsi parte del proprio corpo, un'anima con il giusto involucro, è una cosa che non ricordo di aver mai provato, ho sempre sentito che quel contenitore di carne non mi si addicesse; nonostante io non sia pelle e ossa non è solo quello che mi rende un'estranea ai miei occhi, non è solo l'aspirare ad un minuscolo corpo fine e delicato, io mi sento fuori posto anche in me stessa, una sensazione che non saprei spiegare.

Tutto finito, ormai sono pronta e mancano solo le scarpe e la stessa grande borsa marrone che porto da una vita.
Mi fermo, l'orologio segna le otto, sono quasi in orario.
Preso tutto esco di casa, chiudo e scendo le lunghe scale che portano all'atrio fresco del mio palazzo.
Una volta fuori, sulla strada, comincio a respirare.
E' vero, la realtà è soffocante, ma la sensazione del sole sulla pelle è così liberatoria, vorrei poter vivere solo di questo, come le piante.
Per tutta la vita mi sono chiesta perché noi umani dobbiamo rinunciare a questo per chiuderci negli uffici giornate intere, portare sulle spalle mille responsabilità quando potremmo semplicemente goderci ciò che abbiamo intorno: l'erba, gli alberi, il cielo il sole...sono tutte cose che qualcuno ci ha regalato o che semplicemente sono lì, senza un motivo.
Nonostante abbiamo la possibilità di costellare la nostra vita di tutte queste cose siamo costretti da noi stessi ad ingabbiarci nella nostra frenetica routine dimenticandocene.
Sono chiaramente pensieri di una sprovveduta, mia madre me l'ha sempre detto "Renée, se tutti ragionassero così il mondo non andrebbe avanti e ancora dovremmo girare nudi con la clava"
Questo è vero, eppure...

Dolce MieleDove le storie prendono vita. Scoprilo ora