XVI

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Era sparito come un codardo. Aveva raccolto qualche felpa e qualche pantalone ed era partito n direzione di casa di sua madre a Pavia. Nemmeno Riccardo sapeva dove lei abitasse e per questo era il luogo perfetto per mettere in pausa tutte le follie che la metropoli gli stava riservando.

Ovviamente Marco aveva cercato di contattarlo chiamandolo e scrivendogli svariate volte ma lui aveva preso la via d'uscita più semplice spegnendo il telefono e abbandonandolo sul fondo del borsone che appeso alla sua spalla aspettava di essere malamente scaricato nella loro nuova e temporanea dimora.

Il padrone della borsa invece se ne stava immobile dinnanzi alla porta chiusa aspettando che la proprietaria aprisse per accoglierlo.
Inutile dire che quando questo accadde la donna, per quanto contenta, rimase perplessa ritrovandosi il figlio sull'uscio della porta.

"Ale, amore che ci fai qui? É successo qualcosa?" Chiese preoccupata e in mezzo istante il borsone finì sulle mattonelle fredde del patio e il figlio le si fiondò addosso abbracciandola stretta e cominciando a singhiozzare silenziosamente.

"Sono un disastro, mamma. E' colpa mia, sono rotto e rovino tutto e tutti. Mi dispiace."

Furono queste le parole che il più giovane pronunciò poco dopo affondando ancora di più il volto nell'incavo del collo della madre già consapevole dell'implicito argomento di conversazione. Se lo strinse più forte al petto.

"Oh amore mio, vieni entra, ti preparo il nostro tè preferito, che ne dici? Siediti in cucina io lascio il borsone in camera tua e arrivo."

E così si ritrovò seduto sullo sgabello della stanza in questione con gli occhi ancora rossi per il pianto e un enorme peso sul cuore. Quel peso che ormai da due anni lo ammazzava lentamente portandolo ad essere "uno zombie in una città piena di anime vuote" o qualcosa del genere come lo aveva definito Marco. Ripensò subito a quello che era successo: si erano baciati. Il che non era male peccato per la fuga improvvisa e la sua completa assenza dopo il fatto. Si sentiva un vero e proprio coglione, seduto su quello sgabello Alessandro si sentiva l'uomo più stupido del mondo.

Teneva le mani unite sul grembo in attesa che la donna riapparisse cosa che lei fece pochi istanti dopo poggiando sul tavolo di marmo un piccolo portafoto azzurro; i bordi erano leggermente rovinati dal tempo ma lui sapeva che il contenuto invece era stato mantenuto in stato eccezionale. L'etichetta al centro della copertina diceva "T'amo, Ale." e lui riconobbe subito la calligrafia del bambino di dieci anni che era stato e che aveva regalato alla madre quel piccolo viaggio nei ricordi per la festa della mamma.

"Ti preparo il tè, tu comincia a sfogliarlo se vuoi" disse lei prima di lasciargli una carezza dolce sulla guancia e mettersi ai fornelli intenta a scaldare l'acqua per la bevanda. Non avevano davvero un loro "tè preferito" ma era una tradizione che la donna aveva iniziato quando lui era ancora un adolescente per calmare i suoi già presenti attacchi d'ansia. Condividevano una tazza di tè a qualsiasi ora del giorno e della notte e tutto passava.
Non aveva mai avuto il coraggio di dirle che sapeva che il gusto non fosse mai lo stesso e che semplicemente la donna si avvalesse di quello a disposizione sul momento perché era il "loro tè" e per quanto il nome potesse variare sulle bustine l'ingrediente comune era sempre quello: il loro affetto.

Lui osservò con circostanza quel minuscolo faldone per poi prenderlo in mano e cominciare a sfogliarlo gentilmente.
La prima foto era sempre stata una delle sue preferite: ritraeva sua madre piangente in un letto d'ospedale mentre stringeva al petto per la prima volta quello che poi sarebbe stato anche il suo unico figlio. Aveva i capelli spettinati e le guance rosse di fatica e dolore ma a lei importava solo di quel fagotto sporco che teneva tra le braccia.

Alessandro sorrise triste per quanto paradossale potesse sembrare. Ogni giorno si chiedeva se sua madre fosse davvero orgogliosa di lui o se semplicemente si limitava ad adempiere ai doveri di ogni madre supportando il figlio per rientrare in quel ruolo sociale.
Non le avrebbe mai fatto una domanda del genere sapendo già il dolore che questa avrebbe procurato alla donna quindi semplicemente si limitò a guardarla ancora qualche istante per poi sorpassarla e cambiare pagina lasciando indietro con essa ogni pensiero negativo e cupo.

Nei letti degli altri| Mahmood•Marco MengoniDove le storie prendono vita. Scoprilo ora