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Quella mattina aprire gli occhi gli era risultato più difficile del dovuto, come se ogni sua cellula sapesse già che l'energia che quella giornata avrebbe richiesto sarebbe stata troppa da sopportare. Inutile dire che alla fine gli occhi li aveva aperti e si era subito reso conto che anche fissare l'ampio soffitto color alabastro gli provocava ansia.

Ogni suo pensiero o movimento gli scatenava del terrore incontrollabile che non sapeva gestire.
Aveva sbuffato e sbuffato ancora, ma nemmeno la quantità d'aria che riusciva a incanalare e sputare fuori gli sembrava poter essere abbastanza per aiutarlo ad arrivare al secondo dopo.

Si rese conto di tante cose ma una premeva nel suo cervello prepotente come una carica di tori impazziti: voleva piangere.
Sentiva il dovere e il bisogno di lasciar uscire quella palla di dolore che sentiva dietro allo sterno ma nessun suo sforzo lo portò a compiere quell'impresa tanto ardua.

Perciò non pianse ma si tenne dentro in silenzio quella sensazione tanto forte e distruttiva che lo stava letteralmente e lentamente divorando dall'interno portandolo a provare dolore anche alle ossa. Nonostante ciò non si alzò dal letto.
Per quanto la sua schiena e le sue gambe reclamassero qualsiasi tipo di movimento per scaricare la tensione lui era rimasto fermo immobile in posizione supina, ammirando le piccole crepe che innocue si espandevano lungo l'intonaco candido del soffitto.

Non aveva mangiato a colazione e non contava di farlo nemmeno a pranzo o a cena perché anche solo il pensiero di ingurgitare cibo o acqua gli dava il voltastomaco. Sentiva i crampi della fame urlargli contro ma al contempo percepiva la nausea che aspettava in sottofondo pronta a disintegrarlo alla vista di ogni singola sostanza umanamente ingeribile.

Era così ogni mese. Ogni singolo mese.

Ogni diciassette del mese lui si svegliava e cercava di vivere il meno possibile, portando il suo corpo ad un'agonia inimmaginabile ma meritata. Quel giorno il suo unico pensiero e anche la sua unica priorità era Michael. Michael che non c'era più ma che al contempo c'era sempre, Michael che doveva essere con lui nella sua nuova casa ma che invece di casa ne aveva trovata una più buia e fredda. Michael che molto probabilmente, sepolto dotto quei chili di terra non era nemmeno più Michael.
E come sempre lui era solo: era solo perché era un coglione e un codardo, ma anche perché voleva sentirsi meno in colpa al pensiero che anche l'ex compagno fosse solo ogni giorno e quindi si circondava di ombre per non essere divorato dalla propria.

Verso le undici aveva sentito il telefono squillare e lo aveva ignorato fino alla fine della misteriosa chiamata, solo per sentirlo squillare nuovamente qualche secondo dopo. Aveva continuato a suonare a causa di messaggi e chiamate per tutta la mattina ma lui aveva mentalmente tagliato ogni contatto con la realtà e per questa sua necessità di solitudine non solo aveva sicuramente e come sempre fatto preoccupare chiunque ci fosse dall'altra parte della cornetta ma aveva anche deciso che poco gli importava. Le cose stavano così e lui il dolore lo gestiva a modo suo.

C'erano stati mesi in cui Riccardo si era presentato alla sua porta solo per ricevere silenzio in risposta. Non gli aveva mai aperto; lo aveva osservato dallo spioncino mentre l'altro attendeva con le braccia conserte e spostando il peso del corpo da una gamba all'altra impaziente. Lo aveva visto tirare fuori il cellulare per chiamarlo solo per non ricevere risposta. Lo aveva addirittura osservato mentre l'altro stendeva una felpa sul pavimento freddo e duro del pianerottolo come ad accamparsi abusivamente in quell'edificio lercio.
Eppure Alessandro non aveva mai aperto quella porta.

Ogni tanto se ne pentiva ma puntualmente quando si decideva a girare la chiave nella toppa l'altro aveva già raccattato tutte le sue cose e se n'era andato per la sua strada.
Non andava mai li a mani vuote però: ogni tanto gli lasciava qualcosa di pronto da poter mangiare e altre volte invece lasciava bigliettini scritti velocemente per ricordargli che non era solo in qualunque cosa stesse passando e che l'altro ci sarebbe sempre stato.

Nei letti degli altri| Mahmood•Marco MengoniDove le storie prendono vita. Scoprilo ora