XV

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Alessandro lo stava fissando male. Così male da credere di riuscire ad incenerirlo, purtroppo però non aveva nessun superpotere per punire il suo amico e sperò che prima o poi il karma lo ripagasse in modo adeguato.

Incrociò le braccia al petto e accentuò la smorfia sul viso per mostrare tutto il suo disappunto.

"Hai finito?" Chiese ad un certo punto vedendo Riccardo continuare la sua scenata infantile ma in risposta l'altro lo fissò mezzo istante per poi ricominciare a ridere a crepapelle.

"No fra, te lo giuro. Mi fanno male le costole, aiutami" disse poco dopo tenendosi la pancia per il dolore causato dalle troppe risate.

A quel punto Alessandro alzò gli occhi al cielo e semplicemente si buttò a peso morto sul divano di casa sua. Riccardo non era stato invitato ma si era presentato da lui poche ore dopo il maledetto avvenimento che includeva un certo cantate riccio.

Quando gli aveva aperto la porta non aveva avuto nemmeno il tempo di chiedergli cosa diavolo stesse facendo sull'uscio di casa sua che l'altro era semplicemente scoppiato a ridergli in faccia facendosi poi strada verso il salotto.

A quel punto il più grande non aveva potuto far altro che subirsi la stessa frase ripetuta all'infinito in mezzo ad una marea di risate e lacrime di ilarità dell'amico. 

"No amico, io ti voglio bene ma vorrei poterti far rivedere la scena dal mio punto di vista" per poi ricominciare a ridere come il coglione che era.

Poco più tardi il campanello aveva suonato una seconda volta ma questa volta ad aspettarlo fuori dalla sua porta di casa c'era Lisa che prima ancora di aprire bocca si sentì rifilare un "ti prego, non anche tu." dal più grande per poi venire distratta dalla risata dell'altro ancora seduto sul tappeto in salotto. Lisa lo guardò confuso e in risposta Alessandro alzò gli occhi al cielo scuotendo la testa e aggiungendo un: "entra, lascia stare." 

Inutile dire che nemmeno dieci minuti dopo all'armonioso eco della risata di Riccardo si aggiunse anche quella dell'amica che venuta a conoscenza dell'aneddoto in questione era semplicemente scoppiata a ridere in faccia ad Alessandro che aveva deciso ad un certo punto di ignorarli e uscire a fumare.

Non bastava il ricordo umiliante di quel pomeriggio ancora fresco nella sua memoria, ci si dovevano mettere anche quei due bastardi a farlo sentire vulnerabile come una lepre in mezzo ad un branco di lupi affamati.

Si guardò attorno osservando la città sottostante mentre il fumo annebbiava la sua visuale risalendo silenzioso verso il cielo serale. Ripensava all'altro chiedendosi se anche lui si sentisse sporco e stupido come lui in quel momento e la cosa che odiava ancora di più era che ripensando a quel contatto così intimo e labile sentiva la pelle bollente sotto la maglietta di cotone rosa rabbrividire a contatto con l'aria gelida di quel periodo.

La visione di quel pomeriggio riaccese in lui quella passione che aveva sentito solo guardando l'altro e prendendolo come ispirazione per quelle poche frasi scritte di getto nell'arco di quelle ore passate in studio a lavorare insieme. Più lo immaginava, più lo pensava, più lo guardava e più voleva sentirsi reclamato da quella sua essenza candida. Voleva sporcarlo e voleva che lo purificasse toccandolo, guardandolo e prendendolo in ogni modo. Sentiva un istinto viscerale risalirgli la colonna vertebrale e mandarlo in completo stato confusionale e cazzo se odiava sentirsi così.

In quel momento il cellulare vibrò nella sua tasca avvisandolo di un messaggio in arrivo e distraendolo dal suo momento di commiserazione quotidiana:

"Tra mezz'ora in studio? M." 

Sbuffò spegnendo la sigaretta nel posacenere e appoggiandosi con gli avambracci alla ringhiera in ferro battuto. 

"Dio, ti prego, abbi pietà" implorò la sua mente esausta pensando a come cacciare i due parassiti dalla propria abitazione. 

Nei letti degli altri| Mahmood•Marco MengoniDove le storie prendono vita. Scoprilo ora