Uno

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Ash

Ashton se ne stava seduto sul muretto che affiancava quell'aranceto che un tempo doveva appartenere ad un uomo che lo curava molto.

Adesso quell'uomo non c'era più e nessuno si occupava piú dell'aranceto, era rimasto in balia di se stesso, i frutti e le foglie cadevano maturi e nessuno era lì per raccoglierli.

Ashton si sentiva un po' alla stessa maniera, come se nessuno fosse lì per raccoglierlo o per occuparsi di lui.

Odiava Annapolis, odiava ogni singolo istante di merda che passava in quella città, odiava le persone, quelle false e quelle che provavano compassione.

Lui la compassione non la provava più, quei tempi erano finiti, lo erano da quando una notte si era reso conto di essere assolutamente solo, in balia di se stesso e di quello che provava.

Si chiedeva se sarebbe mai cambiato, se avrebbe mai smesso di sentirsi in quella maniera, di sentire quelle emozioni.

Non sapeva nemmeno più quanto valesse la sua vita, forse era meglio lasciarla andare, ma per quello non aveva abbastanza coraggio.

Alla fine prendeva sempre un respiro e provava a pensare ad altro.

Era una di quelle persone che viveva tutto fino in fondo, anche quando non valeva la pena di essere vissuto.

Aveva smesso di credere persino ai grandi amori.

Quello di cui gli importava sul serio era reggere fino alla fine della sua vita, magari incontrare qualcuno a cui fingere di volere bene, sposarsi, formare una famiglia e morire.

Tanto alla fine le cose andavano così, magari il suo matrimonio sarebbe stato molto più vero di quelli pieni di 'amore'.

La situazione era questa: i suoi avevano divorziato, suo padre era fuggito con una ventenne bionda dai capelli liscissimi, una specie di Barbie con le unghie laccate di rosa e gli abitini aderenti, soprattutto bianchi, con le cinture d'oro e che parlava come una di quelle veline della televisione, sua madre era distrutta e aveva affidato a lui il controllo di quella famiglia rotta, toccava a lui adesso occuparsi di Lauren e Harry e chissà per quanto tempo poi.

Sua madre, Anne Marie, passava le sue giornate a letto, gli unici momenti in cui usciva era per andare a lavorare, un tempo era stata la mamma dei sogni per Ashton.

Ma adesso era più che altro un morto che cammina.

Era Lauren, la sua sorellina di quattordici anni a fare la spesa, a mettere in ordine la casa e ad alternarsi con Ashton per cucinare.

Si comportava già come se fosse maturata all'improvviso, non crollando mai nemmeno una volta, non facendo mai vedere le sue debolezze.

Ashton la ammirava per questo.

Anche lui faceva la sua parte, lavorava in un negozio di alimentari vicino a casa sua e faceva il possibile per far quadrare un po' i conti e per regalare qualcosa ai suoi fratelli di tanto in tanto.

Gli unici momenti che si regalava lontano dagli altri erano prima e dopo il lavoro, quando si fermava a guardare il suo aranceto, che era un posto che solo lui conosceva e dove nessuno poteva entrare.

Verso sera era andato via, lanciando uno sguardo al cielo e chiedendosi cosa fosse successo per fare andare tutto così male.

Il tramonto era finito da un pezzo e probabilmente aveva fatto più tardi di quello che poteva, ma aveva seriamente bisogno di quegli spezzoni dove c'era solo lui e nient'altro.

Attraversava Annapolis in silenzio, si sentiva solo il rumore dei suoi anfibi, era passato accanto alla chiesa, le case erano illuminate, le famiglie dovevano essere tutte a casa.

Ad Annapolis sembrava che esistessero solo famiglie per bene.

Ashton pensò che un tempo anche la sua doveva essere una di quelle famiglie da pubblicità, era adesso che tutto sembrava diverso.

Forse l'unico modo per avere una vita migliore era andare via da Annapolis.

Questo era assolutamente quello che Ashton doveva fare, abbandonare tutto quando ne aveva la possibilità, scappare e ricominciare da capo.

Il pensiero di posti lontani e di una vita vera, lo fece sorridere, il primo sorriso di quel giorno.

C'era una ragazza seduta su una panchina poco lontana da lui.

Lo stava fissando con insistenza e fu quello che spinse Ashton a girarsi nella sua direzione.

Era vestita di nero, sembrava volesse fare la punk ma Ashton l'aveva sgambata subito e classificata in una delle sue categorie.

Lei non era una punk e non lo sarebbe mai stata.

Nemmeno lui lo era, ma quantomeno non fingeva di esserlo, così continuò a camminare sentendo lo sguardo della tipa ancora addosso.

Così l'aveva fissata anche lui e lei era subito arrossita, aveva capito di piacerle e nemmeno lei gli dispiaceva, ma non voleva complicarle la vita immergendola in una strana relazione con lui.

Lei era sinceramente più piccola di lui, avrà avuto circa quindici anni e sembrava poco sicura di se stessa.

Capiva dallo sguardo di lei che moriva dalla voglia di parlargli, così sospirò e si avvicinò.

« Hey, sai per caso che ore sono? »

Lei aveva guardato il suo cellulare e poi aveva alzato il suo sguardo intimorito su Ashton.

« Le otto e venti »

Ecco, Lauren lo avrebbe ammazzato, dio solo sa quanto era preoccupata, ma adesso il danno era fatto, non poteva semplicemente ringraziarla e andare.

Quella ragazza adesso aveva delle aspettative, sperava che lui le avrebbe chiesto di uscire e in un futuro magari di mettersi con lui.

Ma Ashton non era quel tipo di ragazzo, lui non prometteva mai niente, non riusciva a rispettare le promesse.

Quella ragazza però ci teneva così tanto e lui non voleva deludere le sue aspettative, non voleva ferire anche lei, magari quella era la sua buona azione del giorno.

Così aveva messo su il suo sorriso più bello e le aveva allungato la mano.

« Mi chiamo Ashton » aveva detto, aiutandola ad alzarsi « posso accompagnarti a casa? »

Lei aveva sorriso timidamente e lo aveva seguito a passi lenti.

« Umh certo, sono Anna »

Ecco, Ashton lo sapeva che era fatta, ma non poteva fare a meno che sentirsi allegro per il cuore che non aveva spezzato

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