Quattro

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Anna

Il ragazzo le camminava accanto con le mani in tasca e guardando su in cielo di tanto in tanto.

Lo conoscevano tutti Ashton Irwin, cioè tutti quelli che avevano delle sorelle più piccole almeno, era stato per molto tempo un popolare, quando andava a scuola, per poi perdersi in posti che nessuno conosceva.
Nessuno sapeva più niente di Ashton dopo che aveva lasciato la scuola.
Così l'idolo di molte ragazzine era diventato una corrente estiva dei ricordi, qualcuno ne parlava ancora ma come si parla di qualcosa di lontano che capita per caso in qualche strano argomento, altri se ne erano assolutamente dimenticati.
Ma Anna no, lei se lo ricordava Ashton.

Quando lui le aveva parlato era stato come se fosse improvvisamente arrivato Natale, saltando tutte le altre festività.

Non era mai stata una molto brava a fare amicizia, aveva sempre vissuto ad Annapolis e aveva paura di non andarsene mai, sua madre l'aveva sempre portata in chiesa, quella che loro due avevano appena superato, aveva sempre provato ad educarla alla sua maniera, dimenticandosi di volerle bene, qualche volta.
Era per questo che Anna provava ad attirare l'attenzione, perché sentiva di averne bisogno di tanto in tanto.

Ashton era la sua cotta da quando aveva sei anni e lo vedeva giocare a pallone con i suoi amici, passando davanti casa sua.

Probabilmente lui non lo sapeva che quella era casa sua, le case ad Annapolis si assomigliavano tutte.

Quando lui le si era avvicinato per chiederle l'ora, lei aveva pregato in diverse lingue (inventate) che lui le chiedesse di uscire.

Ashton era quel genere di ragazzo che se ti chiedeva di uscire e tu avevi una cotta per lui da dieci anni, allora sentivi che una parte della tua vita era realizzata.

Le sembrava tutto abbastanza surreale, ed era anche abbastanza preoccupata di svegliarsi e che tutto fosse solo un sogno.

Lei non era proprio quel genere di ragazza che si poteva definire 'socievole', frequentava delle ragazze abbastanza popolari e questo automaticamente la rendeva una di loro.

La Annapolis High School non era certo una di quelle scuole che premiava l'originalità, come la maggior parte delle scuole americane esisteva una gerarchia sociale.
Anna non sapeva che posto vi occupava, ma sapeva di avere un posto abbastanza alto da essere rispettata da tutti.

«Quanti anni hai?» le aveva chiesto Ashton «scommetto quindici»

Lei sorrideva e goffamente provava a nascondere il rossore sulle guance.
«Sedici»

Anche Ashton aveva sorriso  e si era avvicinato di un po'.

«E come mai ti chiami Anna? Cioè, non è un nome che si usa ad Annapolis, oh aspetta! Non dirmi che ti hanno chiamata così per la città!»
Lei aveva sorriso di più e gli aveva risposto che Anna era il nome di sua nonna.

Ad Ashton piaceva Anna, la trovava un po' una di quelle che cercava di attirare delle attenzioni che non riceveva a casa e questo gli ricordava la sua storia.

Le persone commentano spesso le storie degli altri, spesso ridendoci sopra.

Ashton avrebbe dato qualsiasi cosa per vivere una storia diversa dalla sua o per fare qualcosa per cambiarla.

Anna lo stava fissando, chiedendosi cosa gli facesse corrugare la fronte in quella maniera, doveva essere andato in qualche posto con la mente, un posto lontano da lei, dove non poteva raggiungerlo.

Davanti casa sua, Ashton aveva dato ad Anna il suo numero di telefono, dicendogli di scrivergli se la ritenesse una cosa importante.

Lei si era domandata cosa significasse e lo aveva guardato un po' confusa.

«Chiamami quando vuoi» le aveva detto scrollando le spalle.

E poi se ne era andato, camminando con la schiena un po' incurvata e le mani nelle tasche dei suoi skinny neri, strisciando i suoi anfibi contro l'asfalto e facendola sentire come una delle protagoniste dei romanzi della Austen, con il cuore a mille, attraversata da emozioni.

Era entrata in casa, sua madre era seduta sulla poltrona rossa del loro soggiorno e stava parlando al telefono con la sua amica Samantha, facendo dei commenti sul suo fidanzato.

Sua mamma Mary, l'aveva salutata con la mano, ed era tornata a chiacchierare, passando lo smalto sulle unghia dei piedi.

Anna si era chiusa in camera sua e aveva messo la musica, tagliando un altro giorno dal calendario.

Aveva scritto un messaggio ad una delle sue amiche e si era sdraiata sul materasso morbido.

Annapolis era una città dove tutti si conoscevano, i genitori si conoscevano tra di loro e facevano giocare i loro figli insieme fin da piccoli, così avevano fatto i nonni e i bisnonni prima di loro.
La gente ad Annapolis si sposava con persone che conosceva da letteralmente tutta la vita.
Ad Annapolis c'era solo un ospedale, ed era facile che le partorienti diventasserò amiche.

Anna pensava che doveva esserci molto di più oltre quello, oltre Annapolis, ma l'idea di andare via la terrorizzava, Annapolis era tutto quello che conosceva ed era sicura.

Ricominciare non era una cosa che le piaceva, la sola idea la nauseava.

Anna aveva le sue amiche che lo sarebbero rimaste per tutta la vita, avrebbe trovato un lavoro ad Annapolis, magari si sarebbe fidanzata con Ashton Irwin e lo avrebbe sposato e sarebbe rimasta lì.
Era questo il massimo a cui poteva spingersi, la gente si comportava così ad Annapolis, il loro sistema era diverso dal mondo.

Nascevi, vivevi e morivi là.

E Anna aveva intenzione di comportarsi alla stessa maniera.

Aveva scritto un messaggio ad Ashton,ringraziandolo di averla accompagnata a  casa.

Lui non aveva risposto.

Anna aveva provato a non pensarci più di tanto, aveva alzato il volume di quella canzone che stava suonando in radio e aveva sospirato concentrandosi a guardare il soffitto.

Forse per Ashton non significava tanto quanto significava per lei, in fondo lui l'aveva solo accompagnata a casa, aveva sbagliato a immaginarsi chissà che cosa, ma ad Annapolis non si faceva mai niente per niente e Anna questo lo sapeva bene, le persone che abitavano ad Annapolis programmavano e lei non riusciva a capire come mai Ashton non lo facesse.

Lui la rendeva confusa e le faceva dubitare persino di quella filosofia di vita che aveva sempre rispettato.

Aveva costretto la sua mente a non pensarci e si era concentrata su altro, in fondo in un modo o nell'altro Ashton le aveva fatto vivere il paradiso, oggi.

Ma lei non poteva mai immaginare che contemporaneamente, a casa di Ashton l'inferno era in piena evoluzione.

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