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             Prossimo capitolo a tre commenti.

Mike.

Michael stava vivendo il suo secondo giorno ad Annapolis e fino ad allora, non si era pentito nemmeno una volta della scelta di andare a vivere li e di lasciare l'Australia.

Sua madre lo chiamava almeno sette volte al giorno e ogni volta non faceva che raccomandargli qualcosa come se avesse cinque anni.

A Michael piaceva che si preoccupasse di lui in quella maniera, lo faceva sentire sicuro e amato.

Sentirsi amato era quello che più desiderava al mondo.

Quando non aveva clienti, si metteva a pensare a Zoe, alle loro mani che si legavano, mentre parlavano piano e si guardavano negli occhi.

Si ricordava il modo in cui lei gli aveva scritto con il pennarello nero il suo numero sulla mano, Michael lo aveva imparato a memoria e segnato sul cellulare, ma anche allora non riusciva a lavare la mano.

Era come se, nel momento in cui il numero si fosse lavato via, Zoe sarebbe scomparsa e lui non l'avrebbe più rivista, sarebbe stata cancellata con la stessa velocità in cui era apparsa.

Così Michael ogni tanto tirava su le maniche della sua felpa e controllava che il numero fosse ancora scritto.

Joe era sempre gentile con lui e se era in difficoltà con i clienti, non ci metteva niente ad aiutarlo e a rimetterlo in sesto.

Michael aveva bisogno di persone del genere nella sua vita.

Ogni tanto sperava di vedere Zoe comparire magicamente davanti alla porta, magari con un Ipod in mano, pronta per scegliere le canzoni della loro playlist.

Così passavano le ore e ogni tanto Michael guardava la porta e il desiderio di vederla era così forte che a volte quasi la sentiva parlare.

Lei non era solo una ragazza con cui aveva passato un bel pomeriggio e con cui aveva avuto una specie di appuntamento, era l'unica persona che conosceva e a cui piaceva stare con lui in quella città.

O almeno, sperava che le piacesse stare con lui.

 «Non verrà, spunterà di pomeriggio, quando ha finito con la scuola» aveva detto Joe.

 «Si, ma comunque non importa, non che mi aspettassi venisse »

Joe aveva sorriso, mettendo apposto i vinili che erano arrivati con il camion delle nuove merci, quella mattina.

   «Tu alla fine l'hai chiamata? »

Michael aveva alzato lo sguardo, smettendo improvvisamente di fissare i braccialetti che aveva al polso.

« Umh, no, devo chiamarla? »

Joe aveva spalancato gli occhi.

 «Ma sei cretino? Sei mai uscito con una ragazza? »

Michael era arrossito e aveva scosso la testa, non era molto bravo con le ragazze.

L'unica volta in cui era uscito con qualcuna aveva sedici anni e lei era a figlia di una amica di sua madre.

Si chiamava Heather, era alta e bionda e sicuramente sarebbe stata incoronata reginetta dei balli scolastici fino alla fine dei suoi giorni.

Lei e Michael erano usciti insieme per qualche mese e non c'era mai stato bisogno di fare prime mosse, lei veniva tutti i pomeriggi da lui, prendevano il thè con Karen e poi uscivano.

Heather non lo ascoltava mai Michael, non era una cattiva persona era solo molto concentrata su se stessa e non aveva molti argomenti.

Lei parlava di smalto, trucco e moda e Michael di musica, libri e film.

Erano semplicemente incompatibili.

«Devi essere tu a chiamarla Mike, lei è orgogliosa e non lo farebbe mai e comunque sei tu l'uomo »

Michael era rimasto zitto a fissare il muro.

 «Va bene, facciamo così Mike, nel nuovo carico c'erano due dischi per lei, perché non la chiami con la scusa di darle i dischi? Le proponi di vedervi da qualche parte e puff! Hai un altro appuntamento con lei »

Michael aveva pensato che Joe fosse assolutamente un figo, era uno che nonostante avesse quarant'anni, si ricordava ancora com'era averne diciotto e Michael lo stimava per questo.

Quando aveva finito il suo turno della mattina e del pomeriggio, Michael se ne era tornato a casa con un vinile e un cd, quelli che avrebbe dovuto dare a Zoe.

Così l'aveva chiamata e le aveva chiesto se le andava di passare da casa sua e venire a prenderseli.

Dopo aver attaccato, si era maledetto per averla invitata a casa.

Non voleva che lei pensasse male di lui, non voleva pensasse che era uno che cercava di infilarsi nelle mutande delle ragazze che ha appena conosciuto.

Lui nemmeno ci aveva pensato a Zoe in quel senso, cioè, la trovava bellissima e attraente, ma pensava a lei in un modo che era superiore a quello.

Voleva conoscerla e apprezzarla e voleva che lei conoscesse lui.

Ogni singola sfumatura di lui.

Forse nemmeno ci sarebbe andata a casa di Michael.

E invece era andata, aveva suonato la porta e lui l'aveva trovata ancora più bella di com'era il giorno prima.

Aveva i capelli lunghi e biondi legati in una coda e una bandana rossa, dei blue jeans attillati, una canottiera bianca con il nome di una canzone dei Nirvana scritto in nero e una camicia aperta rossa, a quadri.

 «Hey»  aveva detto.

Le aveva sorriso.

 «Hey, come stai? »

Zoe si era guardata intorno, nella casetta di Michael erano rimasti ancora impacchettati due scatoloni che Karen aveva mandato al figlio, il gattino nero che il ragazzo aveva deciso di adottare era seduto sul letto e fissava Zoe studiandola.

«Bene, hai un gatto? Come si chiama? »

Michael aveva spostato lo sguardo sul gattino e aveva sorriso.

« Kurt »

«Kurt come Cobain? »

Si erano guardati e avevano sorriso.

Loro due si erano trovati su sette miliardi di persone al mondo, avevano scelto di conoscersi, ma riuscivano a capirsi solo guardandosi.

Zoe alla fine aveva distolto lo sguardo e si era seduta sul letto allungandosi verso uno degli scatoloni.

Michael si era seduto accanto a lei e aveva sorriso, lei era sicuramente l'unica persona con cui passava del tempo ad Annapolis, ma per ora era anche l'unica con cui voleva passarcelo.

Così si erano messi a spacchettare e a tirare fuori le cose di Michael, come se fosse la cosa più giusta da fare.

 «Stavo pensando alla playlist no? » aveva detto lui.

 «Si, toccava a te scegliere la prima canzone» 

Lui aveva annuito e aveva fissato la mano di lei, avrebbe voluto stringerla.

« La conosci Come As You Are? »



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