Capitolo 7

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Altair

Ero solo in casa il giorno seguente.
Ewan e Selene erano uscite per delle commissioni familiari, Myia invece aveva finalmente accettato la proposta di sua madre: quella di uscire con una certa Natalia, figlia di un'adorata collega.

Era un tardo pomeriggio, quando decisi di scrivere a uno dei migliori tatuatori della zona.
La scorsa notte aveva dato i suoi frutti. Dopo vari schizzi, rigorosamente disegnati da me, avevo optato per un leone tatuato su tutto il polpaccio destro.

Il leone, che per molti può sembrare un semplice felino, era la rappresentazione animale di me stesso. Elegante, forte, un onore alla mascolinità, il simbolo del coraggio e del vigore.

Sarebbe stato l'ennesimo argomento che mi avrebbe fatto discutere con Ewan, ma dire che non me ne fregava un cazzo era riduttivo.

Quell'uomo aveva aspettative troppo alte per uno come me. Uno che, da sempre, era considerato il corvo nero del quartiere, il portatore del male e della distruzione. Ero un disastro per il mondo intero, persino per i miei genitori, specialmente per mio padre che mi aveva abbandonato prima ancora che io nascessi.

Essere considerato tale, permetteva alle persone di rinunciare a me, di non farsi previsioni o prospettive di vita soddisfacenti e gratificanti. Mia madre stessa, nonostante mi fosse stata vicina nel periodo più buio della mia vita, aveva perso le speranze. L'unico però a non averlo mai fatto era stato Ewan. Lui riusciva a vedere del talento in me, nelle mie mani e, stranamente, nella mia testa. Diceva che avevo un dono prezioso, con cui avrei potuto fare milioni di cose se solo mi fossi svegliato.

Avrei voluto spiegargli che non era così e che l'unica cosa che le mie mani sapevano fare in automatico era far venire una donna, ma sarebbe stato alquanto inutile visto che mai niente, e nessuno, era mai riuscito a fargli cambiare idea su di me. Era il primo a ripetermi di essere un disastro, ma nonostante questo continuava a credere nelle mie capacità e in un miglioramento.

D'un tratto sentii il campanello di casa suonare. Quel suono echeggiò nel silenzio di un semplice venerdì, facendomi quasi spaventare.

Sobbalzai dal divano con l'intento di andare ad aprire.

«Non preoccuparti tesoro, vado io». Dopo un piccolo momento di attesa Berenice si avvicinò alla porta e a fare irruzione fu Mathias.

E io che speravo di essere lasciato in pace.

Quando incrociai il suo sguardo riuscii ad intravedere la rabbia nei suoi occhi, rappresentata da un'espressione furiosa.
Era rivolta a me, ne ero certo.

«Ciao Mathias, stavo giusto uscendo in giardino. Se cerchi Myia non è in casa. È uscita con una ragazza, dovrebbero essere andate al cinema». Lo avvertì la governante, ma a lui non sembrò importare. Aveva occhi solo per me, talmente roventi che, se non fosse stato per la sua cretinata di ieri sera, avrei pensato che si fosse voluto scopare pure me.

«No Berenice, cercavo Altair».

Alzai un sopracciglio, curioso di sapere che cosa avevamo di tanto urgente da dirci.

«Oh bene perfetto, allora vi lascio da soli. Per qualsiasi cosa urlate. Non mi allontanerò, sarò fuori ad occuparmi dei fiori».

Mathias, con quell'aria da bravo ragazzo, la ringraziò rivolgendole un sorriso falso. Uno dei tanti.

«Buona giornata ragazzi». Disse lei poco prima di uscire fuori casa.

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