2. Casablanca

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Zaccaria's pov

Casablanca era esattamente come la ricordavo: bella e caotica. Avevo bisogno di tempo per riflettere lontano da tutti. Anche da Anna.
Il fumo della mia sigaretta aveva inondato la stanza ed io fissavo lo schermo del cellulare che era pieno dei suoi messaggi.

Non sapevo cosa fare, so solo che io volevo stare lontano da lei perché le avrei incasinato la vita. Avevo troppi conti in sospeso con persone losche e pericolose, infatti Simba lo sapeva bene. Anzi, lui era l'unico con cui mi ero sfogato.
Decisi di uscire dalla catapecchia in cui mi ero nascosto per fare una passeggiata. Lí nessuno sapeva chi fossi ed era un modo per evadere da ogni cosa. Sulla via principale della città mi ritrovai di fronte ad un bar ed entrai. Ordinai un drink e mi misi ad un angolo, poggiando la schiena contro il muro e sorseggiando il cocktail mentre osservavo con attenzione le persone che entravano ed uscivano dal locale.
Erano già trascorsi tre giorni da quando me n'ero andato, tre giorni in cui non avevo risposto a nessuno.
Ad un tratto intravidi una figura a me familiare che si apprestava ad entrare all'interno del bar. Quando riuscii a vedere più nitidamente mi accorsi che era proprio Simba.
Trasalii. É vero, lui sapeva che ero a Casablanca ma non mi sarei mai aspettato che venisse a cercarmi.
Si avvicinò con passo rapido e pesante sbattendo con prepotenza i pugni sul tavolino.
"Ti romperei la testa se potessi." Iniziò. "Come ti è venuto in mente di prendere le tue cose ed andartene senza dire niente?"

Sollevai gli occhi al cielo e sbuffai.
"Non sono cazzi tuoi." Risposi scocciato.
"Lo sono dal momento che la tua ragazza é venuta in lacrime a casa mia alle 3 nel cuore della notte, magari." rispose lui con saccenza.
"Non sono cose che ti riguardano." ribattei.
"Senti Zaccaria, tu adesso alzi quel culo e vieni in albergo a parlare con lei, ti devi muovere." affermò con tono aggressivo.

Simba era così. La sua rabbia controllava tutto, infatti bisognava stare attenti a non fargli perdere il controllo.
"No." risposi io senza farmi intimorire.

"Va bene. Allora vorrà dire che ti ci porterò con la forza."
Mi aggrappò prendendo il braccio destro e con tutta la forza che aveva mi strattonò fuori dal locale.
Cercai di divincolarmi, ma più mi ritraevo più lui stringeva.

"Simba mi stai facendo male." mi lamentai.
"Ah si? Non sai quanto tu hai fatto male ad Anna con quest'idea di merda. Adesso le chiedi scusa, anzi non pensare di presentarti a mani vuote, le prendi pure un regalo adesso." cominciò a darmi ordini in questa maniera.
"Cosa?" Replicai confuso.
"Hai capito benissimo. Anche se dubito fortemente che ti perdonerà."

"Ma cosa stai dicendo?" domandai.
Mi lasciò per un secondo.
"Sinceramente non so neanche perché lo sto facendo." Ammise. "Non te ne frega niente. Adesso non so con quale coraggio dovrò tornare là dentro e dirle che non ti importa minimamente di tutto quello che ha fatto per te. Non ti meriti niente."

Eravamo ormai di fronte all'albergo e le finestre del primo piano si aprirono. Anna si affacciò e ci vide litigare per strada.

Il suo sguardo era gelido. Non l'avevo mai vista così, era chiaro che stavolta l'avevo combinata grossa.

Dopo un paio di minuti il portone principale dell'hotel si aprii e lei uscì venendo verso di noi.

Sollevò il braccio e sganciò il braccialetto che le avevo regalato, poi con un gesto lo mise nella mia mano destra.

"Tienilo. Ho sentito tutto. Cavolo, Zac non pensavo di fare tutta questa strada per vederti trascinato qui da Simba, perché se non fosse stato per lui non saresti nemmeno qui. Non ho bisogno di elemosinare. Quello che ho fatto per te l'ho fatto perché volevo."

Vedevo i suoi occhi che cambiavano espressione repentinamente.

Simba fece spallucce e si allontanò lasciandoci soli, senza intervenire ulteriormente nella discussione.

"Non è quello che sembra." la interruppi.
"Ah no? Allora com'é? Immagina svegliarti di notte e non trovare più la persona con cui stai accanto a te e che non ti risponde al telefono per giorni senza che tu abbia fatto qualcosa di male. Come ti sentiresti?"

La sua voce si era fatta più acuta e aggressiva e, per la prima volta nella mia vita stavo faticando nel trovare le parole giuste.

"Va bene, aspetta. Fammi parlare." cominciai. "Ho un conto in sospeso con una gang. Ho paura che possano rapirti e farti del male per fare un torto a me." tirai un sospiro lunghissimo.

Era la verità. Tuttavia mettetevi nei miei panni: come fate a dire alla persona che amate che potrebbe morire per causa vostra? Era un qualcosa di complesso.

Lei si mise a ridere.

"Questa è la scusa più assurda mai sentita."
"Non è una scusa" ribattei "sono serio."

Purtroppo litigare in mezzo alla strada e sotto quell'albergo non fu assolutamente una scelta intelligente perché accadde proprio quello che temevo.
Mentre ci scambiavamo queste frasi un gruppo di tipi incappucciati si avvicinò a noi. Simba tentò di intervenire per bloccarli, ma era impossibile perché erano in cinque. Ci immobilizzarono in maniera tale da non poterci difendere né difendere Anna.

Il leader si avvicinò a noi due dopo aver spinto lei sul furgone completamente avvolta nella corda stretta che avevano usato per legarla.

"Un milione. Avete 48 ore. Se non ci portate i soldi la facciamo fuori. Chiaro?"

Quelle parole risuonarono nella mia testa.
Non mi diede modo di rispondere, alzò il passo ed entrò all'interno del veicolo. Dopo i due che ci avevano immobilizzati ci lasciarono andare e con la medesima foga si dileguarono.

Simba cercò di ricomporsi subito.
"E ora dove li troviamo i soldi?" domandò.
"Non lo so" ammisi io.
"Ora capisco perché te ne sei andato." disse prendendo a calci una lattina che stava per terra.

"Non preoccuparti." Lo rassicurai. "Ho compreso la vostra rabbia. Avrei dovuto darvi una spiegazione senza sparire. Ora però non è il momento di pensare a questo, dobbiamo trovarla. E soprattutto... dobbiamo trovare i soldi per il riscatto."

Simba annuii e poi scoppiò a piangere.
"É colpa mia. L'ho convinta a venire qui per parlare con te. Ho sbagliato tutto. Ora l'ho messa nei casini."
D'istinto lo abbracciai.
"Abbiamo sbagliato tutti e due. Ora però dobbiamo restare lucidi e pensare a cosa fare. Abbiamo solo 48 ore."

Un milione. Era troppo. Dovevamo chiedere un prestito a qualcuno. Non c'era altro modo.

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