𝖔𝖙𝖙𝖔 - 𝐈 𝐝𝐨𝐧'𝐭 𝐰𝐚𝐧𝐭 𝐲𝐨𝐮 𝐥𝐢𝐤𝐞 𝐚 𝐛𝐞𝐬𝐭 𝐟𝐫𝐢𝐞𝐧𝐝

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Made your mark on me,
a golden tattoo





L'edera mi aveva sempre attratta. Forse per via del suo fascino enigmatico, o forse per il suo potere di avvolgere e catturare tutto ciò che tocca. L'eleganza con cui si arrampica, la sua abilità di adattarsi a ogni ambiente per sfuggire agli sguardi con la sua natura subdola.

Rimasi a osservare la pianta che si inerpicava sul muro esterno, lo stesso che avevo fissato a lungo, ieri notte, appena dopo aver aperto la lettera. L'istinto di chiamare Ace era stato forte, ma l'avevo represso con tutte le mie forze. Avevamo litigato e sapevo che non avrei ottenuto risposte da lui, non dopo il modo in cui mi ero comportata. E non riuscivo ancora a perdonare ciò che aveva fatto a Cedar. Forse era solo una fase, ma il mio orgoglio mi impedì di chiedergli aiuto.

E poi... cosa significava quel documento? Avrei potuto chiamare mia madre, ma avrebbe trovato un modo per arrabbiarsi con me. Così me n'ero andata a letto con la testa piena di domande, e la mattina seguente mi ritrovavo ancora in quello stato, in pigiama, nel piccolo giardino a innaffiare le piante della nonna.



 Così me n'ero andata a letto con la testa piena di domande, e la mattina seguente mi ritrovavo ancora in quello stato, in pigiama, nel piccolo giardino a innaffiare le piante della nonna

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I rami sinuosi dell'edera si arrampicavano sul muro, formando un intricato intreccio che adornava il grigio dell'intonaco. Le foglie scintillavano sotto i primi raggi del sole, circondando la finestra di legno e il piccolo portico adornato da vasi di gardenie e ortensie.
Mi voltai e notai che lungo il vialetto, l'edera serpeggiava anche lì, strangolando tutto ciò che abbracciava, nutrendosi delle vite altrui, prosciugando gli alberi fino a ucciderli. E anche una volta fatta la sua vittima, trovava sempre altro da consumare. Come un parassita che rovina ciò che tocca, cresce negli spazi lasciati abbandonati. E proprio in quel vuoto che sentivo dentro di me, forse avevo permesso all'edera di germogliare.

«Scarlett?»

L'innaffiatoio mi scivolò dalla mano, gettando acqua ovunque.

«Ti aiuto», disse la voce maschile alle mie spalle.

Mi voltai di scatto, spaventata. Con un movimento maldestro urtai un vaso che cadde dal davanzale, frantumandosi in mille pezzi.

«Sei cresciuta, ma sei ancora distratta allo stesso modo», constatò Ivory Sanders, che si era materializzato davanti a me.

«Scusa», mormorai.

Lui posò le mani sui fianchi e mi guardò mentre mi abbassavo a raccogliere i cocci, ma inavvertitamente mi ferii con il bordo affilato di un frammento. Nascosi la mano dietro la schiena, stringendo il pugno per celare il sangue che dopo poco cominciò a colarmi tra le dita.

«Aspetta, ci penso io.»

Vidi la sua figura avvicinarsi all'ingresso, recuperò la scopa dal ripostiglio e iniziò a ripulire il disastro. Infine raccolse i cocci gettandoli nella spazzatura. Io intanto sentivo la mia mano pulsare dal dolore.

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