Sto fissando il soffitto bianco sopra di me durante la mia ora di Pilates mentre mi concentro a eseguire perfettamente gli esercizi che ci sta indicando Paolo. Ormai sono quattro mesi che non salto nemmeno una lezione. Sono quattro mesi che ho deciso di dedicare un'ora a settimana solo per me, un'ora dove posso rilassarmi, dove concedo al mio corpo un ora per non essere in tensione.
Quel soffitto bianco è sempre lo stesso. A volte è pieno di colori e di immagini. E' come se fosse una tela per ripercorrere tutto ciò che è successo durante la giornata. A volte è solo un muro bianco come oggi. Non ci sono colori, non ci sono immagini. E' completamente vuoto. Oggi l'unica cosa che sento sono i muscoli tesi del petto che cercando di rilassarsi. Il mio respiro corto che sembra finire ad ogni nuovo ispirazione. La voce di Paolo che in qualche modo mi tiene ancorata al presente e mi permette di non cadere nei miei pensieri senza fine che so esattamente dove mi porteranno.
«Anche per oggi abbiamo finito» ci comunica Pietro riaccendendo le luci della sala della palestra. Mi sollevo delicatamente con la testa in modo da avere meno giramenti di testa possibili e mi siedo sul Reformer aspettando di avere la testa ben ferma prima di alzarmi. «Ci vediamo lunedì prossimo alla stessa ora» continua Pietro. «Perfetto. Grazie Pietro» dice la Rebecca, la ragazza bionda affianco a me. Non ci conosciamo affatto. E' la prima lezione che facciamo insieme, so solo che le sue gambe sono elastiche quanto una campionessa di ginnastica artistica. «Grazie Pietro» dico anche io prima di recarmi in spogliatoio. Recupero le mi cose, infilo le scarpe e mi dirigo fuori dalla palestra. Sono le 19.30, il cielo è ancora chiaro perché finalmente siamo a fine aprile e stiamo andando verso la bella stagione. Non vedo davvero l'ora. Amo la primavera, il caldo e le strade piene di alberi fioriti. Potrei vivere in primavera per tutti l'anno se potessi.
Arrivo a casa in cinque minuti. Per fortuna la palestra è davvero vicina a casa. Parcheggio la macchina in box e salgo verso il nostro appartamento. Appena apro la porta vedo sbucare subito dalla cima delle scale il faccino e le orecchie a cotoletta di Toby. E' un Beagle di ormai quattro anni. Io e Mattia, mio marito, lo abbiamo preso dopo 6 mesi che convivevamo. Non posso non ammettere che rende le nostre giornate piene di energie e di coccole serali sul divano ma non posso nemmeno negare che sia davvero un grosso impegno. Poso le borse sull'isola della cucina e mi chino subito a salutarlo. Questo è un rituale che succede ogni volta che entriamo in casa. Non esiste che entriamo in casa e non passiamo cinque minuti e fargli le coccole mentre lui ti raggiunge scodinzolando.
Daniele non è ancora rientrato. Come ogni lunedì, mercoledì e giovedì incluso il weekend di ogni settimana, è al campo da calcio a fare gli allenamenti. E' responsabile e allenatore nella società calcistica del nostro paese e questo comporta presidiare ad ogni allenamento settimanale e ad ogni partita che viene svolta nel fine settimana. Dato che ancora non è rientrato ne approfitto per passare da mio padre a recuperare la bottiglia di vino che mi sono fatta comprare dal suo viaggio di sabato e domenica in Toscana.
Papà vive esattamente nella casa affianco alla mia. Appena suono il campanello mi apre subito la porta. La casa di papà è più piccola della nostra ma per due persone è più che sufficiente. Appena varco la porta d'ingresso mi ritrovo di fronte, seduti al tavolo da pranzo, Samanta, la sua nuova compagna con la nipote, la madre e un ragazzo che non ho mai visto. Miarta, la nipote mi saluta subito. Sono ormai un paio di mesi che non la vedo. Secondo il mio parere è l'unica della famiglia della compagnia di mio padre, che si salva in termini di decenza e comportamento. Ma di questo avremo modo di parlarne. Il ragazzo si alza in piedi e mi allunga la mano per presentarsi. Gli stringo la mano e gli rivolgo un sorriso più decente possibile dato che sono davvero stanca e dopo un ora intensa di pilates non mi aspettavo di certo di incontrare gente.
Si chiama Andrea ed è il nuovo ragazzo che frequenta Marta. Questa volta italiano. L'ultimo ragazzo con cui stava, e da cui ha avuto due figli era albanese e non è un esempio né di compagno né di persona dato che beve e gioca di azzardo. Un paio dei tanti motivi per cui la loro relazione è finita.
«La tua bottiglia di vino è lì, dietro alla porta» mi comunica Jennifer mentre beve un sorso del vino rosé che ha nel bicchiere. «Ok, grazie. Quanto vi devo» chiedo come sempre. So che non mi faranno pagare nulla ma per correttezza chiedo sempre. «Nulla. Ne abbiamo preso una bottiglia anche per noi» mi spiega. Amo questo vino: Bruciato cantica Antinori. L'ho provato la scorsa estate durante il nostro terzo tour della Toscana. Da quella sera non ho fatto altro che cercarne una bottiglia. A due anni di distanza ne ho due. Ricerca riuscita direi.
«Menomale che avevi detto che ne bevevamo una bottiglia insieme» mi incalza Marta. «Hai ragione. Quando vuoi ce la beviamo» «No, quando vuoi tu. Stavo aspettando che mi scrivessi». Ah veramente. Non avevo capito che spettasse a me la decisione. «Va bene, guardo l'agenda e ti scrivo» «Si ma fallo mi raccomando». Se dico una cosa la faccio. Solitamente. «Si certo. Prima delle dieci di stasera ti scrivo. Promesso» «D'accordo». Sapevo che prima o poi questa conversazione sarebbe arrivata ma volevo rimandarla il più possibile. Avere a che fare con tutta la famiglia di Samanta non è per niente facile. Da quando papà, sei anni fa, ha deciso di lasciare mamma e andare a vivere con lei sono cambiate tante cose.
«Siamo stati giù al mare dallo zio Davide. Hanno veramente fatto un bel lavoro» mi racconta papà. Zio e zia hanno un bar qui in paese da noi e con un occasione che hanno trovato, hanno preso in gestione per tutto l'anno un bar/ristortante sul mare in Toscana. «Bene. C'era tanta gente?» chiedo curiosa. «Sì, davvero tanto. Se si organizzano bene fanno davvero il botto quest'anno» «Speriamo» «Ora gli ho detto che andrò giù magari io a dargli una mano finché sono a casa» dice Samanta intervenendo. Figurati se non doveva entrare anche in questo momento. Si è licenziata dal lavoro e ora in qualche modo deve pur ammazzare il tempo no? «Tanto se non mi chiamano per il lavoro almeno non sono a casa e loro hanno una mano. Mi dispiace solo per lui» continua Samanta. «Per lui chi» chiedo perplessa non capendo a chi si riferisse. «Per tuo padre. Rimane qui da solo». Dovetti trattenere un sorriso per evitare discussioni. «E' in grado di rimanere qui da solo» affermo con tono sarcastico. «E ma senza di me come fa». Come ha fatto esattamente per tutta la vita e magari gli si aprono gli occhi a rimanere senza di te per qualche giorno. Sarebbe davvero l'occasione giusta per veder cambiare le cose. Non avevo nessuna intenzione di ribattere. Non avrebbe avuto davvero senso anche perché altrimenti si aprirebbe davvero una discussione inutile e non ho ne il tempo ne la voglia di ascoltarla. Mi limito a lanciare un'occhiata di intesa a papà sperando che capisca quello che volevo dirgli. Ultimamente comunicare con lui sta diventando davvero complicato e ormai penso che nemmeno uno sguardo riesca più a farmi capire da lui e il dispiacere di questo è grande quanto una casa.
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Il diario segreto di una ragazza
De TodoI pensieri viaggiano, i giorni passano e a volte ti fermi a pensare a cosa succederà domani. Cosa puoi cambiare. Cosa avresti potuto fare diversamente. Un viaggio nella vita di una ragazza normale, rara, a volte matta.