Capitolo venticinque.

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La casa di Emiliano era sempre meravigliosa, elegante, spaziosa, con le pareti immacolate, la grande cucina dove ti veniva voglia di mangiare anche i cibi che odiavi, i mobili neri...mi ricordava tantissimo Milano. Posai la valigia accanto al divano e mi tolsi la giacca, lasciandola sul braccio del divano, accanto alla valigia.
«Mi casa es tu casa!» esclamò Emiliano, avvicinandosi.
«Sai dove sta il bagno, la cucina, la camera da letto, sistemati pure lì, io dormo sul divano» e qui decisi di intervenire, non volevo che lui rinunciasse alla sua camera, ma mi interruppe
«che tra l'altro è comodissimo per me, preferisco che nelle tue "condizioni" prenda il letto» aggiunse velocemente. Sorrisi, non avrebbe accolto alcuna opposizione, dovevo rassegnarmi.
«Hai fame?» chiese.
«No, ho fatto colazione, mangerò qualcosa più tardi» risposi con un debole sorriso. Emiliano mi sorrise, e poi uscì, aveva da fare. Avevo capito di chi stesse parlando, ma non volevo sentire il suo nome.
Portai la valigia in camera da letto, la poggiai tra la finestra e il cassettone grande e la aprii. Mi sentivo a casa, come non mi ero mai sentita prima.

Davide's pov.
Tornai a casa sbattendo la porta con violenza alle mie spalle, e senza nemmeno guardarmi intorno, entrai in camera mia sbattendomi di nuovo, con violenza, la porta alle spalle. Camminavo avanti e indietro, dalla scrivania a ovest della stanza alla finestra ad est, passandomi le mani in faccia. Ero nervoso, molto nervoso.
«Davide che cos'hai?» mi chiese mia madre entrando nella mia stanza. Non riuscivo a fermarmi, andavo continuamente avanti e indietro. Avevo un bel rapporto con mia mamma, soprattutto da quando era morto papà, le dicevo tutto.
Ci riuscii. Mi fermai, la guardai, poi mi sedetti sul mio letto.
«Giulia aspetta un bambino mamma» le dissi tenendo lo sguardo basso, e le mani strette in preghiera che sbattevano come un pendolo sulla mia fronte.
«Davide, che cosa ti spaventa?» mi chiese mia mamma con calma, lei era sempre calma.
«Mamma io non lo so!» urlai, «mi sento un pazzo. Non voglio rovinare la mia carriera, ce la sto facendo, sto diventando un rapper, e niente deve ostacolarmi...e poi sono troppo giovane per avere un figlio.
Non sento più nulla, ho bisogno di un segno» dissi scattando in piedi.
«Davide, l'unica cosa di cui hai bisogno è una camomilla» disse lei.
«Mi fa schifo la camomilla, e lo sai» ringhiai. Mia mamma fece un profondo respiro, entrò in camera e chiuse la porta. Si sedette sul mio letto, ed io mi sedetti accanto a lei.
«Immagino che con Giulia non sia una storiella da quattro soldi, Davide. L'hai amata per una vita intera, adesso lei aspetta un bambino, tuo figlio. Un bambino che verrà da te il diciannove marzo di ogni anno a dirti che sei il papà migliore del mondo, un bambino che ti abbraccerà quando sarai triste, che ti romperà il cazzo» e qui fissai mia madre, che non aveva mai detto una parolaccia in vita sua, «con le colichette, i pianti, i giri in macchina per dormire e tutto, ma credimi, ti basterà guardarlo una sola volta negli occhi per sentirti la persona più felice del mondo. È così che mi sono sentita quando ho preso in braccio tuo fratello e te.
Davide, hai una grandissima responsabilità ora, e se prima dovevi difendere solo Giulia dalle tue amicizie sbagliate, adesso devi difendere anche tuo figlio. Non mentire a te stesso, non è soltanto un problema di età o di carriera, hai solo paura. Ma non devi averne, è tuo figlio, non puoi averne, perché sei tu che quando verrà a chiamarti nel cuore della notte dovrai guardare sotto al letto e dentro all'armadio per rassicurarlo dell'inesistenza delI'uomo nero, sei tu che dovrai fargli capire che il buio non fa paura, sei tu che aiuterai tuo figlio a crescere. Penso che basti chiedere a Giulia com'è ritrovarsi senza un padre, e credo che tu ne sappia qualcosa, anche se eravate grandi abbastanza quando avete perso la vostra figura paterna» e qui fece una pausa, non aveva smesso di guardarmi.
«Davide, io e tuo padre avevamo diciotto anni quando è nato tuo fratello, non ne avevamo ventidue, e a noi non ci ha aiutato nessuno. Tu e Giulia avete i vostri amici e le vostre mamme. Voglio solo che tu non faccia la scelta sbagliata, perché lasciare la donna che ami da sola, con un bambino in arrivo, Davide, non è corretto.
Cosa succederà quando tuo figlio chiederà a Giulia chi è suo padre?» mi chiese alla fine, ma non risposi. Aveva ragione, come sempre.
«Pensaci. Nessun uomo così giovane lo fa per se stesso, ma ti farà onore il fatto che alla tua ragazza non l'hai lasciata da sola. L'amore per tuo figlio arriverà da solo» disse, per poi andar via con un piccolo sorriso. Avevo bisogno di pensarci sul serio, ed era scontato che mia mamma non fosse d'accordo a lasciare che io me ne andassi. Nessuna mamma avrebbe voluto che il figlio fosse codardo fino a questo punto.
Tirai fuori dalle tasche una bustina con della marijuana, l'accendino, il pacchetto di PallMall blu da dieci, le cartine e i filtri. Mi rollai una canna e mi distesi sul letto, lasciando che tutto svanisse.

His secret || Gemitaiz & CaneseccoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora