11. Speranza

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La mattina seguente un sole pallido illuminava il campo. Shamsa, Diana e Oren furono tirati fuori dalla prigione, ancora legati. Le corde segnavano profondamente i loro polsi, ma il freddo del mattino leniva in parte il dolore. 

Si resero conto che il luogo in cui erano imprigionati era solo una piccola porzione di quello che sembrava un carro molto grande. Un capolavoro di artigianato e magia.

Aidan e Lorcan li aspettavano vicino al fuoco che ancora ardeva, Elara si unì a loro, lo sguardo fisso e determinato.

"Siete pronti a parlare?" chiese Aidan con voce dura. "Non abbiamo tutto il giorno."

Shamsa e Diana si scambiarono uno sguardo preoccupato, mentre Oren cercava di mantenere la calma. Diana fece un passo avanti, cercando di spiegare ancora una volta da dove venissero e cosa fosse accaduto.

"Una cosa non mi torna," la precedette Aidan, il tono della sua voce che tradiva un crescente sospetto. "Voi dite di venire da un altro mondo, un mondo senza magia. Eppure, riuscite a parlare la nostra lingua perfettamente. Come è possibile?"

Shamsa e Diana si scambiarono uno sguardo preoccupato. Sapevano che dovevano essere oneste. Shamsa fece un respiro profondo e iniziò a spiegare.

"Abbiamo queste collane," disse, indicando la collana che portava al collo. " Ci permettono di comprendere e parlare la vostra lingua. Senza di esse, non saremmo in grado di comunicare con voi."

Aidan osservò attentamente le collane, il sospetto ancora evidente nei suoi occhi. "Mostratemele," ordinò, tendendo una mano.

Diana esitò per un momento, poi con riluttanza si tolse la collana e la porse ad Aidan. Shamsa fece lo stesso.

"Come avete ottenuto queste collane?" chiese, il tono della sua voce accusatorio. "Vi sono per caso cadute in mano per miracolo?"

"Le ho fatte io, quando le ho trovate." rispose Oren.

"Bene." Rispose Aidan. "Raccontate!" ordinò infine indicando le ragazze.

"Non siamo di queste terre," iniziò, cercando di non farsi sopraffare dalla paura. "Veniamo da un mondo diverso, un mondo senza magia. Siamo stati trascinati qui da una forza che non comprendiamo..." ma la sua voce tremava per l'ansia.

"Tutto è iniziato durante una serata tranquilla," continuò Shamsa. "Eravamo a casa mia, ma ad un certo punto... il mondo sembrava squarciarsi. Una creatura... ci ha attaccato."

Elara ascoltava con attenzione, il viso pallido per l'incredulità. "E avete detto che questa creatura è fatta di fumo?" chiese, la voce appena un sussurro.

"Sì," confermò Diana dopo un lungo respiro. "Un fumo denso, che si muoveva come se avesse vita propria. Ci ha inseguite senza tregua, fino a quando..."

Elara interruppe, rivolgendosi al padre. "Forse ha a che fare con lo stato di mamma," disse, la voce spezzata dall'emozione. "Quella creatura... potrebbe essere collegata."

Aidan, che fino a quel momento era rimasto in silenzio, si avvicinò lentamente. Il suo viso era una maschera di shock e rabbia trattenuta. "Descrivete meglio questa creatura," ordinò, la voce carica di tensione.

Shamsa fece un altro respiro profondo. "Aveva due volti fusi in uno, e un occhio centrale che ci osservava con una intensità spaventosa. Le sue mani erano lunghe e scheletriche, e si muovevano come se fossero fatte di un fumo denso."

Aidan chiuse gli occhi per un momento, come per cercare di contenere le emozioni che lo travolgevano. "È esattamente ciò che ha descritto mia moglie prima di... prima di impazzire." Aprì gli occhi, lo sguardo fisso su Shamsa e Diana. "Come è possibile che voi non siate impazzite? Come avete fatto a resistere?"

Shamsa e Diana si scambiarono uno sguardo incerto. "Non lo sappiamo," ammise Diana. "Forse è perché siamo riuscite a scappare prima che la creatura completasse il suo attacco. Non possiamo esserne sicure, ma è l'unica spiegazione che ci viene in mente."

Aidan annuì lentamente, lottando ancora con i propri demoni interiori. "Va bene," disse infine. "Ma come è possibile che proveniate da un altro mondo?"

"Padre, ti prego," insistette Elara. "Dobbiamo considerare tutte le possibilità. Non possiamo ignorare ciò che stanno dicendo."

Aidan si voltò verso di lei, il viso segnato dalla stanchezza e dalla frustrazione. "Elara, non possiamo basare tutto su ipotesi, come possiamo fidarci?" rispose, ma la sua voce tradiva un'indecisione crescente.

Lorcan osservava attentamente la scena. Con un tono calmo ma deciso, intervenne. "Aidan, dovremmo chiamare Jaeih. Lei sarebbe sicuramente in grado di comprendere l'essenza di queste ragazze."

Elara si avvicinò al padre, posandogli una mano sul braccio. "Padre, se c'è anche una minima possibilità che possano darci delle risposte su ciò che è accaduto a mamma..."

Il viso di Aidan si contrasse in una smorfia di dolore e confusione. Era evidente che stava combattendo una battaglia interna tra la razionalità e la disperazione. Alla fine, annuì lentamente. Aidan aprì il palmo, sulla sua mano un piccolo uccello di fuoco apparve. "Jaeih..." sussurrò Aidan e l'uccello prese subito il volo.

"Se scopro che avete mentito, non avrò pietà." Disse Aidan secco. "Se dite il vero, discuteremo meglio." Si girò verso Lorcan, "Lasciali pure uscire dalla gabbia. Ma non dimenticate, siete ancora nostri prigionieri."

Mentre il sole iniziava a salire nel cielo, il gruppo si preparò a partire. Le corde che legavano i polsi di Shamsa, Diana e Oren furono tagliate, ma al posto delle braccia e delle gambe furono legati i loro colli. Ogni tentativo di fuga avrebbe attivato un meccanismo che le faceva riscaldare progressivamente. Poiché il dolore diventava insopportabile, l'idea di fuggire si trasformava così in un incubo.

Aidan si avvicinò al gruppo, il viso cupo e determinato. "Non cercate di scappare, le corde al collo non perdonano." disse freddamente. "Salite." Ordinò Aidan indicando il carro.

Shamsa e Diana si scambiarono uno sguardo preoccupato. Sentivano il peso della corda sul collo, un costante promemoria del loro stato: prigioniere. 

Dipinto in delicate sfumature di blu chiaro, bianco e argento, il carro sembra quasi fluttuare sopra il terreno, come sospeso da invisibili correnti d'aria. Entrate nel carro si trovarono in uno spazio ben più grande delle aspettative. Su di una superficie grande quanto una piccola pizza erano sistemate una quindicina di tende colorate. Fatte di strani tessuti ricamati in oro con simboli sconosciuti, o forse semplici decorazioni. Aidan li condusse in uno spiazzo al centro della "stanza", dove li aspettava Elara.

"Trova loro qualcosa da fare." disse Aidan prima di lasciare il gruppo insieme alla figlia.

"Certo! Aiuteranno a cucinare." Rispose pronta Elara. "Così se vi comportate bene, forse, Noemi vi lascerà mangiare qualcosa."

Seguendo Elara i ragazzi notarono vicino a loro una donna e due uomini dagli occhi chiarissimi seduti a terra gambe incrociate. Le ginocchia erano in contatto tra loro ed al centro del gruppo un pezzo di pietra scolpito. Mormoravano qualcosa di incomprensibile e si afferrarono reciprocamente le mani. La pietra tra i tre iniziò a brillare di una delicata luce azzurra e fu a quel punto che, in seguito ad una scossa, si misero in moto.

"Cosa!?" Chiese Shamsa cercando di mantenere l'equilibrio.

"Finisce a breve. Ci stiamo sollevando" Le rispose Elara.

"Stiamo volando?" si stupì Diana girandosi verso Oren in cerca di risposte.

Elara, precedendo Oren nella risposta, emise un secco 'si' prima di indicare la grossa tenda che avevano appena raggiunto. "Siamo arrivati. Entrate."

Al centro della tenda notarono un focolare in pietra, attorno al quale diversi calderoni e pentole di varie dimensioni sobbollono con aromi invitanti. Su un lato, una lunga tavola di legno intagliato è coperta da erbe, spezie e ingredienti sconosciuti, ognuno conservato in barattoli di cristallo finemente decorati. Appesi alle travi della tenda, utensili di rame e argento brillano alla luce delle fiamme, pronti per essere utilizzati.

"Noemi" urlò Elara.

Dall'altra stanza, "Arrivo, arrivo" rispose una voce femminile. "È caduta un sacco di roba. Non ci riescono proprio a partire con delicatezza" si lamentò con veemenza. 

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