Capitolo 4

431 37 6
                                    

"Un essere che si abitua a tutto: ecco, penso sia la migliore definizione che si possa dare dell'uomo."

—F. M. Dostoevsky

Il caffè che mi aveva offerto Nick era davvero il caffè più buono che avessi mai assaggiato fuori da casa mia. Mia madre aveva un rituale tutto suo per preparare questa bevanda, e nessuna tazza calda e fumante avrebbe potuto competere con il gusto ricercato del suo caffè. La sentivo macinarne i chicchi alle cinque del mattino, e il profumo intenso riempiva le nostre stanze fino a che non arrivava il momento di alzarsi. Quell'odore mi svegliava e mi teneva in un dormiveglia che sapeva tanto di sicurezza e pace per almeno un'ora. Crescendo, avevo preso l'abitudine di raggiungere mia madre in veranda, dove utilizzava il suo vecchio macinacaffè a mano per non fare troppo rumore all'interno del cottage. Non parlavamo, ero sempre silenziosa e sulle mie, ma quel momento condiviso mi ricordava almeno in parte il legame che avevamo avuto quando ero bambina e ancora non avevo manifestato.

Al di fuori delle mura di casa, però, il cartone di caffè che tenevo ancora in mano era una coccola divina. Mi aveva anche aiutato a calmarmi, così avevo scambiato qualche parola di conoscenza con Nick senza preoccuparmi in modo esagerato delle conseguenze.

«Vieni, ti presento alcune persone» disse a un tratto, e allungò il braccio con l'indice puntato in direzione di un gruppetto di ragazzi.

Mi allarmai, ma ormai non potevo più evitare l'imminente incontro.

«Non ti preoccupare, sono gli amici più stretti che io abbia qui alla Sean. Sono brave persone» aggiunse, forse cogliendo la mia esitazione. Mi avvolse le spalle con un braccio e strinse appena la mano sulla mia spalla, come se volesse infondermi coraggio. Trattenni il respiro, evitai di scostarmi in malo modo per non fare una figuraccia, e pregai con tutta me stessa che la mia pelle non facesse i capricci proprio in quel momento.

«Ragazzi, vi presento Caillea!» esclamò Nick, passando poi a salutare i suoi amici uno ad uno.

Forzai un sorriso, ma il gruppo fu subito in grado di mettermi a mio agio con degli sguardi e dei cenni di saluto benevoli.

«Sei una matricola anche tu? Hai l'aria di una matricola. Senza offesa, eh, è solo che hai la stessa espressione di panico che ho io davanti allo specchio ogni mattina da quando sono arrivata qui.» La ragazza che aveva buttato fuori tutte quelle parole in un solo respiro mi prese sottobraccio. Aveva i capelli corti e ricci, tinti di un blu elettrico che faceva risaltare gli occhi color lapislazzuli. Se era una matricola anche lei, sembrava più giovane di quello che era. O che avrebbe dovuto essere.

Provai a captare la sua energia, ma non feci in tempo a capire se fosse una magica o una non magica. Mi tirò appena in disparte, mentre i ragazzi iniziavano a ridere e a gridare con esuberanza per qualche loro discorso.

«Rajah, piacere» disse poi, porgendomi la mano. Mi limitai a un cenno del capo mentre le stringevo appena le dita, consapevole che Nick aveva già fatto il mio nome davanti a tutti poco prima. «Sei proprio una matricola, eh?»

«Sì. È così evidente, quindi?» chiesi. Chinai il capo nella sciarpa e fissai il ciottolato sotto ai miei stivaletti neri. Mi avevano accompagnato per anni ma, anche se un po' logori, per me erano ancora bellissimi.

«Beh, finché non ti spicci a essere più loquace, direi proprio di sì.» Rajah si passò una mano tra i capelli, poi fissò il gruppo di ragazzi. Noi eravamo le uniche donne presenti.

«Giusta osservazione» borbottai, ottenendo un'alzata di spalle in risposta. Era poco più bassa di me, i vestiti attillati sul corpo magro, con un mantello aperto a proteggerla dalle temperature autunnali. Mi augurai che i pantaloni fossero in finta pelle, ma dovevo ammettere che il look total black non le stava affatto male.

CAILLEACH - Tra passione e vendettaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora