Elian De Andreè
«Scusa ancora.»
Pizzico l'interno guancia per non sembrare un completo imbecille al suono della sua voce che percepisco immediatamente di chi sia la proprietaria.
"Questa scatterà meglio di quella che avevi, spero..."
Vorrei dirle di non scusarsi, perché la rottura della dannata macchina fotografica il primo giorno di scuola è stata una magnifica benedizione.
Rileggo il biglietto che ho trovato nel mio banco assieme alla vecchia fotocamera di Porta Portese particolarizzata con un fiocco per i regali giallo, poco prima che lei entri e mi sorrida splendendo la mattinata, lo conservo cautamente e mi siedo con lei accanto a me al mio seguire.
Non fiatiamo ma i sorrisi valgono più di mille parole...
O erano gli sguardi?
In ogni caso, vinceremmo sia all'uno che all'altra alla battaglia che ci poniamo e che non disarmiamo. Il disarmo avviene quando dobbiamo smetterla e concentrarci sulla lezione, alla quale non presto molta attenzione e tiro fuori dalla tasca il pezzettino di carta che si sa già conserverò gelosamente.
Tento e ritento nel cercare di capire la combinazione delle lettere e il loro nesso messe l'una accanto all'altra, e non capisco perché so quel che c'è scritto se non riesco a leggerlo del tutto. È un pensiero, una verità che so e basta.
La guardo e il sole la illumina.
È un sogno quel sole di ragazza...
«Elian!» un urlo acuto mi porta a sobbalzare sul letto e a mettermi un cuscino sopra la testa, facendomi svegliare malamente dal ricordo del giorno dopo che le ho lasciato la foto che le feci con una scritta dietro a volare dritta verso di lei. Si sarebbe potuta perdere, ma ero fiducioso del fatto che non se la sarebbe fatta scappare per nulla al mondo, e lo so perché avrei fatto lo stesso.
«Lasciamo sognare, ma'.» sbuffo sonoramente tra il materasso e attutito dall'imbottitura piumata che mi copre al buio per poco ancora.
«Oh, fidati. Ho notato che eri su un'altra dimensione inebriante.» Stacco la sveglia e provo a richiudere gli occhi senza risultato, si è dissolta la magia. «È un sogno quel sole di ragazza...»
Mi alzo e la noto appoggiata allo stipite della porta intenta ad osservarmi curiosa della mia prossima mossa, credendo che neghi, scappi via dal sacco colto e faccia qualsiasi cosa per farle sviare strada. Cosa che non farà neanche se facessi veramente le azioni citate.
Apro finestra e serranda illuminando la stanza credendo che ne sia andata per lasciarmi preparare per la scuola, e invece la vedo nell'esatta posizione, con l'esatta espressione, e con esattamente altri cinquantasei sguardi che farà da qui a poco per farmi parlare.
«Che c'è? È vero.» dico sincero senza il minimo imbarazzo o senso di vergogna. È inutile, negare l'evidente dell'evidenza.
Contenta ma non del tutto, mi abbandona dopo avermi sganciato l'amo che farebbe abboccare qualsiasi pesce.
«Allora ti conviene sbrigarti, figlio mio, se vuoi vederla bello profumato e con la faccia rossa di cotta a scuola... Dille che l'hai sognata, le illuminerai la giornata.»
Ci sono troppi collegamenti al suo nome, oppure sono solo io che li noto in ogni dove.
Vado sotto l'acqua fredda e dopo essermi vestito con una canotta nera e un jeans scuro largo con una cintura per non perderli scendendo le scale di casa, controllo l'orario tentando di non imprecare per non beccarmi uno scappellotto da mia madre e prendo un bicchiere con del succo all'ace in cucina e un pain au chocolat dal piatto al centro del tavolo rotondo dove si trovano i miei genitori a captarmi mentre corro da una parte all'altra prima di salutare, chiudere la porta e riaprirla dopo essermi scordata la macchina fotografica sul piano della colazione.
«Innamorato in tempo meno una settimana dal nostro arrivo e un giorno per scordarsi la testa a casa.» ammette a mio padre, offuscata dal romanzo mentale che si sta creando dal mio risveglio di mezz'ora fa.
«Ma davvero?» mi guarda dietro una tazza di caffè e vorrei tanto scappare dalla porta e correre a scuola alla velocità della luce, ma non voglio fare il figli maleducato e aspetto che finisca di parlare.
«E come si chiama questa ragazza?» mio papà si mette a ridere alla risposta di mia mamma.
«Lui l'ha definita un sogno, ma in effetti non aveva rivelato il suo nome...» Mi guardano, io mi giro a destra e sinistra mettendomi l'anima in pace che non ho via di fuga.
«Luce.» confesso, sotto la loro lampante confusione, «Si chiama Luce.»
Luce Botticelli, per essere precisi e rendere armoniosi chi ascolta l'arte del suo semplice nome, e dopodiché quando la si ascolta parlare.
Potrei ascoltarla per ore e spero di poterla sentire dirmi anche un monosillabo nelle prossime.L'ammaliato si accontenta della piccola cosa e gli dà mille significati diversi non stancandosi mai.
Passano un paio di secondi di silenzio e blocco di ogni movimento in tutta la stanza.
«Quale segno del fato!» esclama d'un tratto la mamma. Stavolta quello confuso sono io, e non sono l'unico.
«Cosa te lo fa dire, cara?» le chiede papà.
«Il sorriso di tuo figlio di prima mattina, e i litri di profumo che si è messo, oltre la luce che in questi giorni non gli manca di certo.» Scuoto la testa bevendo un altro po' di succo e dandole un bacio sulla guancia e una pacca all'uomo seduto che non ha il tempo di farmi qualche discorso motivazionale, e riesce a ripescarmi giusto in tempo quando ho aperto la porta per darmi una dritta a modo suo.
«Beh Elian, ti chiedo di ringraziarla anche da parte nostra per averti reso lucente la giornata.» alza un sopracciglio facendomi un occhiolino d'intesa, obbligandomi in modo sottinteso a parlare con una scusa qualsiasi. «A noi lo ha fatto, dille che come futura nuora già mi piace.» Magari, mamma, magari.
«Sicuramente.» E per un attimo avrei voluto non dirlo così ironicamente, dando per scontato il felice inizio lunedì mattina credendolo duraturo e la vista di lei che ho cercato una volta sceso dall'autobus, salendo le rampe di scale e percorrendo l'aula fino al nostro ultimo banco.
Oggi non la trovo da nessuna parte, mi converrebbe riaddormentarmi.
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Battito Perpetuo
Romance"Si diceva che eran pazzi, e si baciavan sui metrò... quando all'improvviso lui le scattò una foto, lei rideva alla follia e lui la amava sotto le luci della città di Roma, regalando loro due insieme al mondo intero un sorriso semplicemente persiste...