Capitolo 10

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Luce Botticelli

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Luce Botticelli


«Oggi niente musica, Luce?»

Perché dovrei voler ascoltare parole sognanti, quando il sogno si frantuma ogni volta che varco le porte di quella casa?

Perché immaginare, se l'immagine rimane ferma e non si scosta.

Vorrei domandarglielo ma lo affermo nella mia testa per non esprimere ciò che non sia quel che sono, e quindi liberando una risata. Ma oggi ridere è difficile e il mio nome non mi si addice più.

«Non mi va.» mi limito a dire, tamburellando il piede sul pavimento dell'auto e tartassando il mio ginocchio tanto da non avere più la sensibilità per fermarlo.

Stringo le cuffiette che a loro volta sono legate in modo attorcigliato al telefono, so già che una volta arrivata starò in loro compagnia, e la musica che ci sarà, a differenza di come è sempre per me, non sarà affatto felice.

Il motore si spegne, gli occhi mi si chiudono automaticamente col placare il mio respiro che d'un tratto è accelerato di botto.

Scendi, saluti e ti chiudi in camera.

Oppure vattene, perché tanto non cambierà niente dal solito.

«Non sei costretta. Possiamo tornare a casa, prendere cinque bei kebab con tanto di coca-cola e patatine e giocare a Just It tanto per fare innervosire i tuoi cuginetti perché, sappiamo tutti, che io e te siamo imbattibili.» È una scena troppo bella, troppo bella che vorrei prenderla al volo e viverla, troppo bella per premermi ulteriormente coi piedi per terra pur continuando a balzare nel cielo senza ossigeno. Perché, anche senza doverlo dire, lo zio sa perché lo sto facendo. «Mentre la zia sarà lì pronta con a offrirci l'acqua e a soffocarci domandatoti dell'imminente amore tra te e il ragazzo della gelateria, e sempre il ragazzo del tuo ritorno dalla festa in piazza ieri sera.» Non è acqua, ma la saliva rischia di andarmi ugualmente di traverso.

«E lei come-»

«Lucetta... i tuoi spioni di cugini si sono divertiti un sacco a strillare quando vi hanno visti, Nicolò entusiasta come il bambino quale è, Federico per la voglia di fare innervosire il tuo spasimante. Mi sa che non gli sta molto simpatico.» Il mio caro zio se la ride, io ripenso alla scorsa sera e alla mia corsa in camera sviando tutto e tutto dopo essermi chiusa la porta alle spalle, totalmente andata. Tornata a casa mi aspetterà un interrogatorio che potrebbe svolgersi con zia e i pargoli a corrompermi con una cioccolata calda, o tutti e tre a chiedere al diretto interessato. Credetemi, ne sarebbero capaci.

In tutto ciò qualcosa mi sfugge...

«E tu?» alzo un sopracciglio alzando per la prima volta in modo genuino da quando siamo partiti mezz'ora fa gli angoli della bocca.

«Io cosa?» si gratta la nuca picchiettando con le dita il manubrio. Non me la racconta giusta. Affatto.

«Non ci credo che sei rimasto silente e quieto sul nostro divano a leggere un libro.» Piuttosto che aprirne uno, lo utilizzerebbe come cuscino, come so che per farlo ammutolire solo una parola è efficiente e cioè quella di sua moglie, e visto che lei sarà palesemente stata la prima a sclerare per tutto l'appartamento, dubito gli abbia risucchiato la lingua con l'aspirapolvere.

Battito PerpetuoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora