CAPITOLO 1: 2010

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"Niccolò, svegliati! Sei in ritardo, tra mezz'ora passa a prenderti il bus!", urlò mio padre, dalla cucina. Queste sono state le prime parole appena aprii gli occhi; avrei tanto preferito rimanere imbacuccato sotto le coperte con le stelline azzurre lavate il pomeriggio prima.

Mi resi però conto che dovevo veramente prepararmi per andare a scuola così infilai le pantofole, ma prima di sportarmi in cucina decisi di provare una melodia al pianoforte, quel pianoforte che mi aveva regalato il nonno qualche settimana prima.

Da quando me lo regalò, non è passato giorno in cui non l'ho usato. E' diventato subito un mio "amico", il luogo in cui posso rifugiarmi ed essere me stesso, senza maschere.

"Niccolò! Non te lo ripeto un'altra volta, vieni qui altrimenti farai tardi!", fu il rimprovero da parte di mio padre. Sentii il suo vocione più forte questa volta, quasi arrabbiato.

Mi alzai di scatto e andai in cucina a fare la mia solita colazione con fette biscottate, marmellata e latte con il cacao. La mia colazione preferita in assoluto, forse perché ogni mattina me la prepara la mamma con amore.

Mentre gustavo il mio primo pasto della giornata, sentii al di là della porta della camera i miei genitori discutere.

"Non può andare avanti così, sta perdendo troppo tempo con quel pianoforte", sentii ad un certo punto il vocione di papà.

"Gli piace così tanto suonare, ci mette tanto impegno e si vede che è una cosa che ama fare", rispose calma mia mamma, con la sua solita voce tranquilla.

"Gli piacerà anche, ma secondo me la scuola è la cosa più importante, viene prima di tutto il resto. E' importante che studi costantemente.", ribatté mio padre. "Ho paura perda troppo tempo con quello strumento, e temo poi prevarrà la frustrazione in lui...".

Mia madre non rispose, forse perché in fondo anche lei temeva ciò.

Intanto finii la colazione, così andai in bagno. Dovetti sbrigarmi a prepararmi e lavarmi, ero davvero in ritardo! Con la testa tra le nuvole, presi la cartella in spalle, diedi un bacio sulla guancia a mamma e salutai papà, poi uscii di casa.

Il pullman arrivò dopo qualche minuto e, appena salii, mi diressi con mio fratello Valerio dove erano seduti i miei compagni di classe, e amici di una vita Adriano, Gabriele e Felice.

Arrivati a scuola, entrammo subito in classe e ci sedemmo ai nostri banchi. Io ero sempre in fondo all'aula, nell'angolo da solo. Mi sentivo escluso dagli altri ragazzini, non mi piaceva stare al centro dell'attenzione e non mi sentivo molo bravo a scuola.

Le ore passavano, una dopo l'altra, e io avevo spesso la testa da un'altra parte.

"Moriconi! Sei sveglio, vero? MI sembra che, soprattutto in questo periodo, hai sempre la testa tra le nuvole!", mi rimproverà la maestra di storia. Io feci cenno con il capo sperando mi lasciasse in pace, ma non fu così.

"Perfetto, allora dimmi in che anno è morto Carlo Magno. L'ho appena spiegato, non puoi non averlo capito". Effettivamente non stavo minimamente ascoltando quello che aveva detto la maestra, così rimasi in silenzio sperando mi distogliesse il prima possibile quello sguardo quasi minaccioso.

Mi sentii esplodere la faccia, ero diventato rosso e mi sentivo in imbarazzo. Non sopportavo quando le maestre mi rimproveravano, tutti si giravano verso di me e i bulli della mia classe iniziavano a ridere e a prendermi in giro.

"Sono costretta a metterti un'annotazione, non è la prima volta che ti trovo distratto e non preparato. Inoltre, questo pomeriggio convocherò i tuoi genitori per capire cosa sta succedendo, ma non ti preoccupare".

Dopo quella figuraccia, la maestra continuò a spiegare e questa volta scrissi qualcosa sul mio quaderno arancione. La campanella suonò e tutti uscimmo, con ordine e in fila.

Il bus ci stava aspettando. Dopo essere saliti tutti, le porte si chiusero, l'autista mise in moto e partì. Ero vicino a Adriano, mi stava consolando e tranquillizzando. Sentivo però i bisbigli dei ragazzini della mia classe, che ogni tanto si voltavano a guardarmi ridacchiando.

"Sai, oggi Niccolò ha preso un'annotazione dalla maestra perché non stava ascoltando la lezione".

"Dopo convocano i genitori di Niccolò perché oggi era distratto nell'ora di storia!".

"Niccolò oggi è stato sgridato dalla maestra!".

Non vedevo l'ora di scendere dal bus e, appena misi il piede sul marciapiede, salutai i miei amici e entrai a casa. Mamma mi chiese cos'era successo a scuola e io le raccontai.

Era sempre stata molto tranquilla, mi ascoltava sempre con tranquillità e non si arrabbiava spesso. Cercava di mettermi a mio agio cercando di risolvere tutte le difficoltà che incontravo durante le mie giornate. Con lei avevo sempre avuto un bellissimo rapporto.

"Dopo devi andare a scuola...", le dissi infine e lei annuì con il capo.

Mangiai un piatto di pasta alla carbonara, poi mi rifugiai in camera per suonare qualche pezzo. Avevo il pianoforte da pochi mesi, ma già riuscivo a suonare qualche pezzo di Renato Zero, il cantante preferito di mamma. Era stata proprio lei ad iscrivermi al corso di pianoforte che si tiene due volte a settimana nel quartiere vicino al nostro.

Alle 16 i miei genitori furono convocati dalla maestra a scuola e, appena tornati, mi raccomandarono che andare a scuola e studiare sono cose serie, che è importante avere costanza nello studio e nei compiti. Poi mio padre, "non per castigo" così come disse, mi ritirò il pianoforte e io mi sentii crollare il mondo addosso. Mi rassicurò dicendomi che me l'avrebbe ridato, più avanti, quando avrà notato dei miglioramenti.

Ci rimasi male, e mi chiusi in camera. Non sapevo come riempire le ore, non riuscivo a studiare così decisi di mettermi alla scrivania per scrivere qualche mio pezzo. Ero appena in seconda media, sapevo che non sarei riuscito a costruire nulla di mio, però avevo bisogno di sfogarmi.



27 novembre 2010:

Il papà mi ha ritirato il pianoforte perché la maestra di ha dato un'annotazione a scuola. Questo è un testo per esprimere i miei sentimenti.

Amo chi non ha niente, vive grazie a se stesso

Amo chi segue il cuore

Amo il treno che porta la gente lontano

Amo gli occhi sinceri di una donna che soffre

Amo tutte le stelle che non cambiano luce

Dentro un cielo innocente che però ha visto la guerra

Amo i passi sicuri di chi viaggia pensando

E anche i passi più incerti di un bambino che cresce

...

Amo tutti i poeti perché scrivono vita

E di un tempo bastardo con dei versi a matita

Amo il suono leggero di una breve risata

Che divide la mente da tutto il resto del mondo.



Verso le 19, mia mamma mi chiamò per andare a cena. Mi sedetti silenziosamente, così come è stato silenzioso tutto il pasto. Non avevo fame, mi limitai a mangiare un pezzo di pane con del formaggio.

Tornai in camera mia, dove mi addormentai.

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