CAPITOLO 11: 2020

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Alla TV hanno annunciato che il virus che fino a poco fa circolava solo in Cina, ora sta arrivando anche in Italia. O meglio, è già arrivato, però fortunatamente i contagi sono ancora pochissimi.

Lo hanno soprannominato "Coronavirus", anche se alla televisione lo citano più come "Covid 19". Forse perché è il nome più scientifico.

Subito dopo aver appreso questa terribile notizia, chiamai il mio manager, Max, per chiedergli come mi sarei dovuto comportare per quanto riguardava i concerti.

"Max, hai sentito alla TV cos'hanno appena detto? Che facciamo? Non riesco a stare chiuso in casa, questi pretendono di stare tutti isolati, ma io ho bisogno di rivedere la mia gente. Abbiamo un tour quasi tutto sold out per quest'estate. E se prolungano questi giorni di quarantena?". Ero impanicato e, anche se Max cercò di tranquillizzarmi, i demoni dentro di me non avevano intenzione di uscire.

"Una soluzione la si troverà in qualche modo, è ancora troppo presto per parlare. E' solo marzo, ci sono ancora mesi prima del tour", era stata la sua risposta.

Non mi sembrava però molto convinto nemmeno lui nel dire ciò. Sentii un'incertezza nella sua voce, e fu questo che più di tutto mi spaventò.

"Hai visto le immagini della gente con le mascherine, del distanziamento e dei macchinoni che trasportano i morti? Mi sembra di vivere in un film di fantascienza, mi sembra tutto così surreale", avevo continuato io, in lacrime sia perchè mi stavo rendendo davvero conto di quel che stava accadendo sia perché, essendo ipocondrico, temevo questo brutto mostro potesse raggiungere la mia casa e far stare male qualche mio famigliare.

"Niccolò, tranquillizzati. Appena posso vengo lì, così parliamo un po'. Tranquillo, vedrai che tutto si risolverà al più presto. Ci sentiamo dopo".

Mi sentivo come rinchiuso in una bolla, che nessuno riusciva a scoppiare. Nemmeno Max, per quanto ci abbia provato. "A dopo, Max. E grazie".

Dopo lo stadio Olimpico dell'anno prima non vedevo davvero l'ora di risalire sul mio palco, di rivedere la mia gente e di cantare insieme a loro.

Era appena il 20 marzo, chissà quanti giorni avrei dovuto passare così, chiuso in solitudine nella mia stanza, in cui l'unica cosa che potevo era comporre canzoni e suonare, suonare, suonare.

Per passarmi il tempo, ma soprattutto anche per esprimere ed esternare a qualcuno i miei sentimenti, decisi di mettermi davanti al telefono e registrare un video che, inizialmente volevo pubblicare sulle storie di Instagram, anche se poi decisi di tenerlo per me.

"Voi avete idea di cosa possa voler dire, per un ragazzo come me per cui la musica non è un hobby, ma la mia vita, un'ossessione, una cosa che se non la faccio sto male. Avete idea di cosa possa voler dire non farlo? Avendo un tour tutto sold out? Non è facile, ne ho parlato anche con lo psichiatra. Io sono giustificato nello stare male, non devo sentirmi un cogli*ne perché c'è di peggio nel mondo. Ognuno ha il suo "peggio". Bisogna avere rispetto del dolore degli altri".

Era un discorso troppo personale per esternarlo sui social, luogo in cui, soprattutto in quel periodo, trascorrevo il minor tempo possibile.

Ero distrutto, l'unica cosa che in quei giorni riuscivo a fare -seppur anch'essa con difficoltà- era scrivere. Scrivere i testi, provare le melodie e poi metterle in pratica era diventata la mia routine.

In quel periodo così assurdo, però, le uniche canzoni che riuscivo a scrivere erano riguardanti la solitudine, la paura, la mancanza di affetti e l'importanza della salute mentale.

C'erano tante persone, già prima della pandemia, che mi consideravano "il depresso", "quello che fa musica depressa", e non ero mai riuscito a capire a pieno il motivo di ciò. Io semplicemente scrivevo ciò che avevo dentro, come facevo da anni ormai, e ad ogni commento negativo ci restavo sempre un po' male.

Fortunatamente, però, le persone così erano molte meno rispetto a quelle che partecipavano ai miei concerti.

"Il mio equilibrio mentale

Si sgretola solo

Mentre affogo nel mare,

sopra passa un aereo"

Mi piaceva tanto quella frase, era una delle tante frasi che rappresentavano al massimo la mia persona. Decisi che non mi sarebbero interessati più i commenti negativi, ma che con il tempo imparerò a saperli scorrere via.

Una chiamata, qualche settimana dopo, sconvolse la mia giornata, ma soprattutto la situazione che stavo vivendo in quel periodo. Quella di Clemente.

Avevo sempre avuto un ottimo rapporto con lui. Oltre che essere il mio manager, era qualcosa di più. Un amico sul quale potevo contare sempre, in qualsiasi momento e nonostante tutto. Lui era sempre lì a supportarmi.

"Ho sia una bella notizia, che una brutta. Dimmi quale vuoi sentire per prima". Le solite domande dei bambini, che mi fece sorridere un po' più del previsto.

"Quella brutta per prima, tanto penso di sapere già cosa stai per dirmi", gli risposi io e, al di là del telefono, lo sentii annuire.

"Va bene, allora come penso tu abbia già capito, mi hanno chiamato per dirmi che quest'estate i concerti non si faranno. Niccolò, dispiace tantissimo anche a me, e non posso neanche immaginare di ciò che provi tu in questo momento, però ti prego di essere forte e di non abbatterti. Riuscirai, anzi riusciremo, a vincere questa battaglia e a fare questi maledetti concerti...".

Lo fermai, altrimenti avrebbe probabilmente continuato a parlare. Sentivo la sua tristezza nelle sue parole, ma continuare a parlare non avrebbe sicuramente migliorato il mio stato d'animo.

"Lo so, Clemente. Me lo aspettavo sinceramente. Ora dammi la buona notizia, dai!", cercai di distrarlo io.

"Si, hai ragione. La bella notizia è che...ho comprato una nuova villa in Umbria!!". Io, al di là del telefono, esultai e penso lui l'abbia sentito. 2 Puoi trasferirti qui in questi mesi. C'è un bel giardino dove possiamo collocare il tuo pianoforte. Puoi venire qui a suonare, a creare le tue canzoni, almeno non sarai chiuso in casa ma all'aperto!".

L'idea di passare qualche mese nella stessa villa di Clemente, mi fece venire i brividi. Al momento non riuscii nemmeno a realizzare cosa lui mi aveva appena proposto. Ero troppo felice, nonostante la brutta notizia che mi aveva appena dato.

"Quando posso venire lì?" gli chiesi seriamente.

"Quando vuoi, abbiamo appena finito di sistemare tutto qui". "Anche domani, appena hai preparato tutto ciò che ti serve!".

"Va bene, allora domani ci sarà qualcuno sotto casa tua che citofonerà alla porta!!".

La chiamata si chiuse, e iniziai immediatamente a preparare tutto ciò che sarebbe potuto servirmi ei prossimi mesi. Mi ricordai solo dopo che per prendere l'aereo avrei dovuto fare il tampone, che mi metteva tanta agitazione. Non potevo però infrangere questo mio desiderio solo dalla paura di fare uno stupido tampone. Così presi coraggio e ne prenotai uno per la mattina successiva, sperando esso non risultasse "positivo".

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