Beccata

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Con i pantaloni a rialzarseli alla svelta, dardeggiò gli occhi su di me, in passi ineludibili da far capire a chiunque di non avere scampo.

Le vene mi si infiammarono e le orecchie si accaldarono. 

La frescura del corridoio si trasformò in afa. 

Cazzo. 

Chi me l'aveva fatto fare? Avevo dato voce ai pensieri intrusivi.

Dai, Greta. Ficcati nelle stanze e cerca qualcosa che ti possa incuriosire. Appicca il fuoco che stai sentendo dentro te come una piccola fiammella. 

"Ci hanno visti?" La voce atona della ragazza tuonò perfino nel corridoio. 

Feci per girarmi alla svelta.

Mossi due miseri passi, prima di essere afferrata per l'esile polso e sbattuta al muro, così forte, da ritrovarmi a boccheggiare alla ricerca d'aria. 

Negli ultimi tempi ero finita con il dimagrire, per cui mi trovavo privata di forze. 

Mi sentii venire meno, ma non cedei. Nonostante le gambe mi tremassero, riuscii a tenermi stabilmente dritta. 

Le mie sopracciglia saltarono verso l'alto per l'inaspettata sorpresa, asciutta di parole mai quanto in quel momento, nel vedermi parato di fronte il torso nudo a evidenziargli perbene le avvallature di un corpo irrobustito, e schizzato da una moltitudine di tatuaggi. 

Una farfalla, un altro serpente, delle gemme, una scritta: It meanders che partiva dalla scapola e terminava sull'altra. Significava: Serpeggia. 

Ma quanti ne aveva? 

Era un imbratto vivente.

I pantaloni che indossava pendevano in maniera indecente dai suoi fianchi, mentre la cintura precaria, oscillava appena alle lente movenze nel tenere le braccia saldamente inchiodate sui miei polsi, finiti contro al muro. 

Un ghigno insinuante si fece strada tra le sue labbra, all'aspetto morbide ma macchiate di... era rossetto quello? Poi i lineamenti facciali gli si indurirono a un tratto.

Gli occhi. Smeraldo in una pupilla, e grinta nell'altro. Profondi a tal punto da piantarsi nelle mie  tremanti. "Tu qui non ci dovresti stare, chi cazzo ti ha dato il permesso?" E mi ringhiò contro, percependo l'alito di una lontana nicotina e una menta a coprirla. 

Deglutii così forte che sentii bruciore all'esofago, ma non accettavo mi tenesse ferma in quel modo. 

Tornai a dimenarmi con quel poco sulla presa dei polsi, ma lui, più furbo, esercitò maggiore pressione con le braccia da risaltarne le vene e inclinare la testa per dirmi: "Forse non ci siamo capiti" 

"So parlare, cazzo" e gli sbottai contro, a una voce che poi afflosciai in base alle energie rimaste. 

Mi guardò con un'aria maliziosa, pregustandosi già la vittoria di avermi messa alle stratte. "Ma bene, a quanto pare non sei sorda o analfabeta" ammorbidì la voce apposta per enfatizzare lo scherno, da farmi innervosire. 

"Vuoi lasciarmi? Maledizione" strinsi i denti. 

"No finché non mi dirai che ci facevi qui" 

Sentivo la calura del suo corpo fondersi con l'espressione di ghiaccio. 

Ci pensai alla svelta, senza temporeggiare. "Stavo cercando il bagno" 

Tombola. 

Gli scappò un sussulto che mi fece capire quante scorciatoie stavo trovando dinanzi al suo ostacolo. "Potevi chiamare mia madre, è rimasta tutta la mattinata appiccicata al tuo culo lattante" no, ci era cascato. 

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