Insistenze

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Le sue curiosità nei miei confronti erano finite con l'accrescere tutte in una notte. 

Sarei riuscita a distoglierle? 

Dovevo tornare a rendermi invisibile. 

Nell'esatto momento in cui mi misi a elaborare piani, ci ritrovammo a incrociare gli sguardi. 

I miei occhi finirono sul tatuaggio al collo raggrinzito per la torsione subita, le pagliuzze intanto esercitavano un indomito autocontrollo, cominciando a trovarci gusto nel mio sguardo scrutatore verso una striscia sottile e uniforme, priva di peli. 

Una cicatrice? 

Come se l'era procurata? 

Abbassai lo sguardo verso le sue mani. Perché aveva le nocche leggermente scorticate? 

Mi rimisi in piedi, allontanandolo per rifilargli un: "mi hai messo il piede davanti! Mi stavi facendo cadere"  inconsapevole se impettirmi più di tanto, o moderarmi a graduazione.

Compì un movimento con la lingua dietro la bocca chiusa, gonfiandosi la parte inferiore come a reprimere una smorfia di compiacimento, poi si mise a braccia conserte, gonfiando le vene delle braccia.

Ma non aveva mai freddo? Che diavolo! Eravamo a metà Settembre.

Mi costrinse a indurire l'espressione. 

Inclinò di poco la testa da un lato, dandomi l'impressione di presa in giro. 

"Non è colpa mia se sei scoordinata" abbassò gli occhi in automatico verso il basso, per la precisione mi accorsi stesse mirando ai miei fianchi larghi. "Saresti dovuta rimanere nel tuo paese a farti visitare da un buon fisioterapista" rialzandoli sui miei che tenevo fissi sul suo viso, adesso serio. "Invece di venire in villeggiatura" marcando l'accento regionale. 

Decisi di rimanermene muta ed evitare un altro affronto che avrebbe portato solo a stimolarlo.

Evitai di prolungarmi sulla difensiva e: "buona giornata" ringhiai a voce bassa, facendo per superarlo con le intenzioni di procedere.

Lui però si mosse obliquamente, sbarrandomi il passaggio e impedendomi di oltrepassarlo.

Non abbassò la testa, non fece smorfie, tanto meno nell'aprire bocca per tornare a obiettare la mia presenza nel suo territorio, peggio di un doberman. 

Eravamo molto vicini all'arcata. Due passi e me la sarei potuta svignare lontana, invece no, mi stava dando il buongiorno al vaffanculo giornaliero, prima del previsto. 

Inalai tutta l'aria nelle vicinanze, annusando un fresco odore di fragola, più l'odore di pancake che proveniva dalla cucina. 

Tenni gli occhi puntati sul tessuto della sua camicia, poco sbottonata, evitando di risalirli. Prima o poi si sarebbe stancato. 

Mi accorsi di come si stesse mantenendo sulle sue: Petto lineare, respirazione regolare, priorità a recarmi seccature.

"Perché sei qui? Cosa ti ha spinto a venire?" Incalzò domande all'improvviso, alla quale non avevo voglia di rispondere per il semplice fatto mi riportavano allo stato economico della mia situazione familiare, con l'aggiunta di ottenere una nuova nomea di barbona abbandonata. 

Cazzo. Quello mi faceva doppiamente paura. 

Nonostante il suo graffiante quesito, parve ammorbidirsi a tratti, nonché anche la sua posizione cambiò nello spostare il peso del corpo sul piede sinistro.

I genitori non gli avevano riferito ancora niente, se non altro sviando la verità per tenermi nascosta, probabile al sicuro dal suo giudizio. 

Conoscevano la prole, per cui decisi di non parlare. 

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