MATTANZA IN RIVIERA - PARTE VII

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Dalla mia posizione spettrale e saturo di pensieri e sofismi continuo ad osservare la scena stracolma di tenerezza che preludeva la tragedia.

Stavo per indirizzare Daniel, il più grande dei nostri due angeli, verso il cartello posticcio che delimitava il confine tra i due lidi limitrofi.

L'insegna di legno, consumata dalla salsedine e mai ristrutturata, era stata il nostro punto di riferimento per tutte le vacanze. Nelle due settimane appena trascorse ci aveva guidato, come l'ago di una bussola, nell'intricata giungla di ombrelloni che si ergeva, disordinata, dinanzi a noi.

Il colore differente degli ombrelloni, altro espediente cromatico utilizzato per dividere, visivamente, i lidi confinanti, non sarebbe bastato a farci trovare in fretta la strada, tra centinaia di lettini stracolmi di gente sudata e cosparsa di creme dolciastre.

Sarebbe bastato invece individuare quella piccola targhetta lignea, lasciarsela perfettamente alle spalle e contare settanta passi; il settantunesimo avrebbe calcato sabbia fresca, ombreggiata dal nostro ombrellone: il nostro tesoro, il nostro nido.

Qui mia moglie ci avrebbe accolto con asciugamani morbidi, per i bimbi, e un sorriso di armoniosa complicità, riservato a me.

Armonia e complicità erano ciò che le sue labbra volevano trasmettere, e che mi sforzavo di percepire, ma i suoi occhi, ogni volta che tornavamo da lei, nascondevano la fine di una sopita e costante apprensione.

Eravamo tornati tutti e tre: l'ansia e la paura, potevano andare in pausa ed eclissarsi fino a quando Daniel, o Simone, avessero nuovamente chiesto:
- Dai papà, un altro bagno!

Allora quel terrore sarebbe tornato, non si sarebbe espresso a parole, nessuno nel raggio di dieci chilometri lo avrebbe palesato, ma sarebbe comparso; una sottile lama gelida avrebbe iniziato a scalfire lo strato di corteccia cerebrale di mia moglie.
Un po' alla volta.
Minuto dopo minuto.
Ora dopo ora.

Fino a quando, se i suoi tre maschi non fossero ricomparsi tutti insieme, allo scadere del tempo limite stabilito, le avrebbe frantumato ogni barriera ossea e lacerato il cervello, rendendola incapace di pensare a nulla, al di fuori di loro, in preda alla paura più ancestrale.

E forse quella mattina, io e i miei "ragazzi", ci eravamo dilungati un po' troppo nell'ultima delle trovate di Simone e, la lama, doveva averla scalfitta a dovere.

Anche se più giovane di Daniel di 3 anni, Simone ha sempre avuto una fantasia fervida e di gran lunga superiore a quella del fratello, più dedito alla logica, cultore della calma e della routine.
Simone, quella mattina, era una Tartaruga Ninja e noi due personificavamo dei malvagi Cacciatori di topi ,sulle tracce del suo amato maestro Splinter.

Non potevi non assecondare quel bimbetto di quattro anni che, in mezzo all'acqua e ai bagnanti stupiti, sferrava calci volanti all'aria facendo versi alla Bruce Lee.

Così, nel turbinio del gioco, navigando in tunnel di una rete fognaria immaginaria, ci siamo allontanati di diverse centinaia di metri dal nostro bagno.

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