4. ...An illusion

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"Nessuno entra invanonella tua vita,o è un dono o è una prova

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"Nessuno entra invano
nella tua vita,
o è un dono o è una prova..."
Ferzan Ozpetek
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Erano trascorsi due giorni da quando qualcuno aveva lasciato quel bigliettino sul ripiano della mia cucina.

Mi ero ripromessa di controllare le registrazioni delle telecamere dell'intero palazzo, ma ciò che mi aspettava ogni giorno in ufficio aveva la priorità.

Erano stati giorni estremamente impegnativi.

Io e Josh avevamo trascorso interi pomeriggi nel mio ufficio, con il tempo a disposizione sempre più ridotto per studiare e memorizzare accuratamente ogni cosa che riguardasse il Mercury City.

Avevo quindi deciso di dare la priorità a questo compito.

Ogni giorno, trascorrevamo ore intere piantonati alla scrivania, sommersi da documenti, cartine, planimetrie dell'edificio e schemi di organizzazione delle guardie di sicurezza.

Gli avrei certamente pagato gli straordinari, nonostante fosse chiaro che il suo impegno non fosse motivato solo dal denaro.
Sapevo che la sua dedizione al lavoro andava ben oltre il semplice stipendio.

Josh lavorava per salvare vite, per questo andavamo d'accordo.

Mancavano esattamente due giorni alla festa privata a cui Jenkins mi aveva espressamente richiesto di partecipare.

Quel giovedì pomeriggio sembrava non finire mai, trascinandosi più lentamente del previsto.
Avevamo elaborato un piano che, tra l'altro, ero certa sarebbe stato inutile.
Tuttavia, sapevo che Josh si sarebbe sentito più tranquillo avendo almeno una vaga idea dei possibili imprevisti.

Era sera, ben oltre l'orario di lavoro previsto.
La maggior parte dei dipendenti aveva rispettato il proprio turno ed era già tornata a casa da tempo.
Molti piani dell'edificio erano completamente deserti, in attesa di una nuova giornata di attività.
Avevo chiesto solo a poche persone di rimanere, le più indispensabili.

Io e Josh eravamo immersi nel nostro lavoro: lui seduto da una parte della scrivania, con i gomiti appoggiati sul ripiano in vetro e lo sguardo fisso su documenti riguardanti le telecamere di sicurezza; io, dall'altra parte, continuavo a rivedere la disposizione delle guardie su ogni piano dell'edificio.

Il religioso silenzio che ci avvolgeva fu interrotto dal cigolio della porta del mio ufficio, che si spalancò lentamente, come in una scena di un film d'azione, in cui l'attore tanto atteso fa il suo ingresso trionfale.

Quell'attore, in questo caso, era Bexley Vlasova.

Una donna il cui fascino elegante e seducente era famoso in tutta Mosca.
I suoi capelli, una cascata di fuoco, ondeggiavano in morbidi riccioli rossi che catturavano la luce, creando un'aura dorata intorno a lei.
Ogni ciocca sembra essere stata baciata dal sole, avvolta in sfumature dal rame al carminio più profondo.
Gli occhi verdi, vivaci e penetranti, brillavano come smeraldi puri, incorniciati da lunghe ciglia scure che mettevano in risalto la profondità del suo sguardo. Erano occhi che raccontano storie, che sapevano vedere oltre l'apparenza e che emanavano una magnetica attrazione.
Il suo corpo una sinfonia di curve perfette, armoniosamente distribuite.
La pelle, vellutata e luminosa, era di un tono chiaro che esalta il contrasto con la vivacità dei suoi capelli e la luminosità dei suoi occhi.

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