3. Who were you before they broke your heart...?

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"Noi che abbiamo l'Anima,moriamo più spesso"Emily Dickinson✧・゚: *✧・゚:* *:・゚✧*:・゚✧

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"Noi che abbiamo l'Anima,
moriamo più spesso"
Emily Dickinson
✧・゚: *✧・゚:* *:・゚✧*:・゚✧

13 anni prima...

Tic, Tac.
Tic, Tac.
Tic, Tac.

Il ticchettio incessante dell'orologio riempiva il silenzio della stanza, dove ero rinchiusa ormai da circa cinque ore.

Per ingannare il tempo, avevo esaurito ogni possibile occupazione: avevo affinato la mia tecnica di tiro con l'arco, perfezionato la mira con la pistola e affilato le punte argentee di ogni singolo pugnale a mia disposizione.

Il suono ritmico dei coltelli che si conficcavano nel bersaglio di legno appeso al muro era diventato una sorta di ossessione melodica, una sinfonia che risuonava costantemente nelle mie orecchie.

L'immagine delle punte affilate che perforavano il cerchio rosso al centro del bersaglio mi affascinava in maniera ipnotica: una visione letale e al tempo stesso stranamente rilassante.

Ma la noia, implacabile e insidiosa, continuava a divorarmi pezzo dopo pezzo.

Avevo trascorso gran parte del tempo a vagare in tondo tra le mura di quella stanza, schiava di un'attesa snervante, aspettando il ritorno di mia madre.

Il tempo sembrava dilatarsi, come se ogni minuto si allungasse in un'eternità.

Imprecai sottovoce quando mi accorsi che i coltelli da lanciare erano finiti. L'idea di raccogliere le lame conficcate al bersaglio mi sembrava insopportabile, così decisi di poggiarmi al cornicione della finestra lasciando che l'aria fresca della notte mi solleticasse le gambe nude, coperte solo da un paio di pantaloncini.

Il crepuscolo aveva ceduto il passo alla notte, e da un'ora buona mi dedicavo a rigirare un coltello tra le dita, sussurrando imprecazioni e sperando, in un misto di frustrazione e desiderio, che mia madre finalmente aprisse la porta e mi rimproverasse per le parole dette.

Ma non accadeva nulla.
Nessuna traccia di lei.

La luna quella sera era invisibile, nascosta dal velo della luna nera.
Sebbene non potessi vederla, sapevo che si nascondeva sopra di me, silenziosa e inaccessibile.

Puntai lo sguardo verso l'alto, come se la pioggia battente potesse cadere e lavare via i miei pensieri.
I miei occhi fissavano il cielo, alla ricerca delle stelle che, velate dalle nuvole, sembravano nascondersi dalla mia vista.

Abbracciai le ginocchia al petto, stringendole forte come se potessi proteggermi da una minaccia invisibile.
«Riporterai mia madre qui, vero?» La mia voce, sottile e tremante, si disperse nell'aria come un sussurro al vento. Le mie iridi chiare vagavano nel cielo, cercando un segno, una risposta, qualcosa che potesse darmi conforto.
«Dimmi che sta bene...» aggiunsi, il cuore colmo di un'inquietudine che la notte non riusciva a placare.

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