Il bar CC: Cursed Coffee

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Bella

Era aprile e i ciliegi sfoggiavano il loro massimo splendore.
Anche Tokyo era punteggiata da macchie rosa, nonostante i grattacieli facessero a gara a chi toccasse per primo il sole.
Le famiglie, le coppie, gli anziani e i bambini camminavano allegri lungo i marciapiedi, le labbra curve in sorrisi caldi, il passo calmo ma felice.

Almeno, credo.
Non ricordo molto, io.

Sapete, io ero chiusa nel bar CC, il bar Cursed Coffee, l'unico bar per stregoni in tutto il Giappone.

Approdata lì come su un'ultima spiaggia, lavoravo come cameriera.
Ma se mi avessero assunta come disastro professionale avrei decisamente guadagnato di più.

Erano anni che sognavo di venire in quel Paese. La sua cultura, da quella antica a quella moderna, mi aveva sempre affascinata. Da adolescente, il mio passatempo preferito era leggere manga, guardare anime, ascoltare musica giapponese (nonostante non capissi nulla, ah ah).

Ma non me l'ero immaginato così.

Nei miei sogni pieni di delusioni inespresse c'era una nazione tutta rose e fiori, tutti felici.
Tutto perfetto.
Un reset.

Ma invece...

Tutti i giorni, vedere gli stregoni sfilare nel bar, tutti tronfi e orgogliosi di se stessi, mi faceva...come dire, pentire del mio percorso personale, onestamente.

Io vedevo le maledizioni.
Io sapevo controllare l'energia malefica.
Ma non avevo mai avuto il coraggio di andare avanti e di studiare per diventare stregona.

Solo perché ero un po' timida...
E un po' fifona.
E anche con un cuore troppo morbido per avere il coraggio di uccidere una maledizione.

"Bella, muoviti con quei caffè. Cos'è, ti sei persa di nuovo a immaginare qualcosa?"
La signora Miyo mi lanciò un'occhiataccia con la coda dell'occhio dal bancone del bar.
Io mi riscossi subito dai miei pensieri e finii di fare i caffè che mi erano stati chiesti, armeggiando con la vecchia e rumorosa macchina del caffè del bar.

Posai le tazzine davanti ai due stregoni e poi mi lanciai all'interno del locale, camminando tra i tavoli, chiedendo ordinazioni e raccogliendo piattini.

Mi piaceva il suono della lingua giapponese.
Aveva qualcosa di speciale che mi aveva sempre fatta sorridere.

Avevo una conoscenza abbondante della lingua, ma certe volte parlavano fin troppo veloce perché io capissi, e quindi dovevo chiedere di ripetere, arrossendo.

Appoggiai una tazza di cioccolata ad un tavolo, insieme ad un croissant.
La donna dai capelli castani mi sorrise, mormorando un 'grazie', e io annuii in risposta.

Mi girai quasi di scatto per andare ad un altro tavolo, reggendo in mano il vassoio con un'abbondante tazza di caffè nero, quando sbattei contro qualcuno.
Il vassoio si girò in verticale, lanciando la tazza direttamente in aria, creando una pioggia scura.
Uno schizzo mi arrivò in faccia ed iniziai a sputacchiare.

Presi al volo il vassoio e aprii gli occhi che avevo involontariamente chiuso: un uomo fin troppo alto dai capelli bianchi mi guardava dall'alto in basso, un leggero sorriso canzonatore dipinto sulle labbra.

Neanche una goccia di caffè sembrava averlo preso.
Anzi, intorno ai suoi piedi sembrava quasi esserci un cerchio di pulito, senza macchie nere.
Non 'sembrava'.

C'era.

L'uomo rise calmo e mi diede la tazza, poggiandola sul vassoio che stringevo convulsamente.

L'aveva presa al volo?!

Quello non era un semplice stregone, maledizione.

"Beh..." L'uomo esitò, leggendo il mio nome sul cartellino che portavo sulla camicetta un tempo bianca. "...Bella," continuò, "strano modo di farti notare. Ma piacere di conoscerti."

Lo spilungone rise ancora notando che ero arrossita. Che cosa pretendeva se faceva queste battute?
Che ridessi anche io?
Mormorai diverse scuse, incredibilmente imbarazzata, evitando il suo sguardo.

"Io...mi dispiace davvero tanto, sono-...sono incredibilmente dispiaciuta, non intendevo-..."

Mi bloccò sollevando semplicemente una mano.
Era davvero un soggetto particolare.

"Non preoccuparti. Non mi sono sporcato. Anzi, forse dovresti chiederti scusa da sola, hm?"

Ridacchiò di nuovo, e io azzardai una piccola risatina agitata.
Guardai in alto, incontrando il suo sguardo.
O almeno, credo.

I suoi occhi erano coperti da una benda nera.
Era strano perfino per uno stregone.

Aveva capelli bianchi come la neve e la pelle chiara.
Era altissimo, di sicuro superava il metro e novanta, e intravedevo anche da sotto l'uniforme scura il fisico tonico e sano di un uomo in forma.

Avrà avuto quanti anni in più di me?
Tre?
Quattro?

Eppure mi agitava da morire.

L'uomo rise ancora una volta, evidentemente divertendosi un sacco della mia meravigliosa camicia bianca e marrone, o forse semplicemente del fatto che fossi arrossita di nuovo come una sciocca.
Mi appoggiò una mano sulla testa (facendomi arrossire ancora di più) e mi sorrise, dicendo qualcosa che faticai a capire, per quanto ero imbarazzata.
Forse era un 'tranquilla'?
O un'altra battuta?

Io balbettai un'altra scusa prima di scattare via, tenendo il vassoio con sopra la tazza ormai vuota con due mani. Le mie nocche stavano diventando bianche da quanto lo stavo stringendo forte.

Prima di sgattaiolare nel retro del bar, nel buco assegnato a noi camerieri, guardai si nuovo verso di lui con la coda dell'occhio; si era seduto con la donna dai capelli castani e le parlava sommessamente, un'espressione decisamente poco seria dipinta in faccia.

Tirai un sospiro e mi chiusi la porta alle spalle.

Un caffè dagli occhi bluDove le storie prendono vita. Scoprilo ora