Capitolo due

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"Dal momento che io non ho mai deliberatamente tormentato nessuno,
non è giusto ch'io tormenti neppure me stesso"
Marco Aurelio~


Lunedì ore 06:00

Mi alzai piena di ansia per la scuola.
Il nuovo ambiente, le nuove persone e la possibilità di rifarmi una vita dovevano rassicurarmi ma purtroppo non fu così. Avvertendo la mia agitazione Aron si stese ai miei piedi per dieci minuti abbondanti, respirai, strofinai le mani sul viso e mi diressi verso il bagno.
Una volta uscita dalla doccia mi dedicai ai capelli, poi ai vestiti: misi dei jeans larghi, cintura, ed una maglietta nera ad una spalla. Una volta messe le scarpe rollai una sigaretta che mi misi a fumare per casa mentre prendevo la mappa e il programma per scuola lasciato da mia madre. Misi la giacca, salutai Aron e mi diressi verso la Francisco High in macchina, l'ansia fu così tanta che mi ritrovai lì con venti minuti di anticipo senza neanche accorgermene.
Mi poggiai al cofano della macchina per fumare un'altra sigaretta ed intanto guardai attorno.
La scuola aveva ben due piani ed era semplicemente enorme, si poteva vedere la mensa dall'esterno ed immaginai che la palestra fosse stata posta dietro all'edificio. Ero talmente immersa nei miei pensieri che non mi accorsi neanche della macchina posteggiatasi di fianco alla mia. A tal punto da non notare che non ero da sola. Mi agitai per il brusco ritorno alla realtà mettendo a fuoco chi avevo davanti: un ragazzo della mia età con i capelli rasati biondi, occhi azzurri contornati da una montatura nera di occhiali, alto almeno un metro e ottanta.
Anche un po' di più.
«Scusami potrei chiederti l'accendino?» il suo tono era cordiale e amichevole, io ci misi un po' a formulare, ma presi l'accendino e glielo passai.
«Jackson Miller quarto anno, piacere di conoscerti» disse allungando la mano.
«Heather Wilson sono nuova, quarto anno anch'io» risposi stringendogliela.
«Da dove vieni? Come mai qui?» il biondino spruzzava solarità da tutti i pori, mi diede l'impressione di riuscire a mandare avanti una conversazione per due.
«Vengo da Berkeley, io e mia madre volevamo cambiare aria» chiarì buttando una nuvola di fumo.
«Berkeley non è a venti minuti da qui?» chiese curioso sorridendo.
«Si, è proprio a venti minuti da qui» gli sorrisi a mia volta scuotendo la testa «Ma l'aria fortunatamente è diversa».
«Miller?» ci voltammo entrambi.
A vederlo provai un sollievo irrilevante. Per qualche motivo la sua presenza mi infondeva una serenità e sicurezza che non erano mie, ma quando gli sorrisi il suo viso rimase impassibile come il suo corpo. Forse non gli stavo simpatica come pensavo.
«Johnson!» disse il biondo per poi salutarlo con una stretta di mano ad effetto «Heather Wilson quarto anno, viene da Berkeley. Heather lui è Blake Johnson dell'ultimo anno».
Come se non ci fossimo mai visti prima Blake mi tese la mano facendomi l'occhiolino.
Fu difficile nascondere la mia confusione in quel momento, ancor più difficile fu non imbarazzarmi per quel gesto. Venerdì sera avevo notato fosse un bel ragazzo, ma in quel momento, con la luce del mattino lo era ancora di più.
«Piacere ragazzina»
«Piacere mio»
Sembrava divertirlo quella situazione, a salvarci dall'imbarazzo fu la parlantina di Jackson.
«Posso vedere il tuo programma Heather?»
«Certo» dissi prendendolo dalla borsa, lui lo guardò con aria soddisfatta confrontandolo al suo, mi parlò con la sigaretta tra le labbra: «Condividiamo ben tre lezioni: filosofia, scienze e storia. Hai intenzione di scegliere qualche corso extra?» disse ripiegandolo.
«Non ci ho ancora pensato» risposi riponendolo in borsa, spensi la sigaretta sulla suola della scarpa e quando alzai lo sguardo, il suo mi stava esaminando. Dovevo andarmene subito.
«Vado a cercare il mio armadietto, scusatemi»
«Se vuoi ti accompagno-» disse Jackson prima che il telefono prendesse a squillare, intanto svariati ragazzi cominciarono ad arrivare ed il parcheggio cominciò a riempirsi.
«È Alex, la macchina non gli parte. Vado a prendere quel cazzone puoi accompagnare Heather all'armadietto per favore? Grazie a dopo» disse senza aspettare che gli rispondessero per andarsene. Rimanemmo solo io e lui.
«Eh.. B-61» dissi leggendolo dalla mappa, lui camminò senza darmi troppo conto, quindi glielo chiesi. «Perché fai come se non ci conoscessimo?»
«Perché ci conosciamo?» quel ghigno cominciava a darmi sui nervi, e non era facile infastidirmi. Decisi così di restare in silenzio fino all'armadietto.
«B-61» disse picchiettandoci sopra, misi la combinazione e si aprì, lo ringraziai ma invece di andarsene si appoggiò agli altri armadietti ed incrociò le braccia al petto. Non mi sfuggirono le occhiate da parte di altre ragazze, chi ammiccava verso di lui, chi mi guardava storto, chi faceva prima una e poi l'altra.
«Puoi andare, mi guardano tutti strano» dissi quasi pregandolo, non volevo essere protagonista delle attenzioni di nessuno.
«Beh in realtà il mio armadietto è qui» indicò due armadietti dopo il mio «Ti guardano perché sei nuova».
«Mi guardano come si guarda del cibo andato a male, non come una novità. Delle attenzioni degli altri ne ho sempre fatto a meno» ammisi cominciando a sistemare i libri nell'armadietto senza guardarlo.
«Sei una che attira molte attenzioni?» chiese inclinando la testa
«Non la metterei proprio in questo modo.. Tu invece sembri attirarne ancora più di me» fece spallucce, era evidente che la cosa non gli importasse più di tanto.
Sentì cingermi le spalle, ed ad un certo punto mi ritrovai davanti un ragazzo scuro di carnagione alto quanto Blake con dei dread legati in una mezza coda.
«E lei è la nuova arrivata» disse il biondino presentandomi al suo amico che lo guardava storto.
«Ti sembra il modo di trattare una ragazza?» lo canzonò «Piacere Alex Anderson ultimo anno, non fare caso a Miller adotta chiunque non abbia la logorrea», risi stringendogli la mano.
«Non ho la logorrea! Sono solo molto predisposto a parlare. A proposito di persone che hanno la logorrea, abbiamo filosofia, quel pelato di Crime parla un sacco a volte si dimentica di respirare. Andiamo o ci fottono i posti migliori» disse prendendomi per il polso e trascinandomi via. Ricevetti un'altro occhiolino da Blake ed una sventolata di mano da Alex. Jackson continuò a trascinarmi fino alla classe di filosofia mollandomi ad ultimo banco e sedendosi affianco a me. È vero è come se mi avesse adottata.
Continuammo a parlare -mi chiese dei tatuaggi, mi disse che aveva la fobia degli aghi, che lui, Blake ed Alex giocavano nella squadra di basket della scuola dove Alex era capitano; mi invitò agli allenamenti e continuò a parlare fin quando non arrivò il professore.
Un cosetto alto quanto me che si espandeva in larghezza. Mi diede l'impressione di Humpty, l'uovo malefico del gatto con gli stivali.
«Lo so a cosa stai pensando, non sei l'unica» mi disse mentre io mi giravo dall'altra parte coprendo la bocca con la mano per soffocare una risata.
«Buongiorno a tutti, per chi non mi conoscesse io sono il professor Crime ed insegno filosofia. Miller, che onore averla in classe anche quest'anno..»
«L'onore è mio professore» sorrise divertito Jackson.
«Abbiamo una nuova alunna quest'anno, signorina Wilson, venga si presenti alla classe» il tentativo di introduzione fu lodevole ma non apprezzato da parte mia. Mi alzai riluttante ed andai vicino al professore, Jackson dal banco alzò due pollici di incoraggiamento.
Avere gli occhi di tutti addosso non era una sensazione gradevole, non lo era mai stata, feci un bel respiro e parlai.
«Piacere sono Heather Wilson, vengo da Berkeley e spero di poter andare d'accordo con tutti voi» la voce uscì più flebile e meno sicura di come avrei voluto, ma sembrò arrivare a tutti.
«Sono arrivati ottimi risultati dalla vostra vecchia scuola, siete un'alunna modello. Spero riusciate ad influenzare anche il signorino Miller, potete andare a posto» tornai al banco cercando di non incrociare lo sguardo di nessuno, guardai Jackson e gli chiesi «Che hai fatto per farti odiare così?»
«Sono stato me stesso» disse divertito con le braccia incrociate al petto. Risi. Jackson mi faceva ridere un sacco, aveva quella solarità che mi mancava. Il suo sguardo invece mancava di giudizio, e sorprendentemente anche di malizia -pensai fosse un ragazzo d'oro.

[12:15]
Pausa pranzo, Jackson continuava a portarmi a spasso, stavolta verso il tavolo della mensa mentre entrambi tenevamo un vassoio.
Mi fece sedere ad un tavolo tutt'altro che centrale, ma l'attenzione era comunque concentrata in quell'angolo della mensa dove c'erano tre colossi ed un nano, io.
Scomparivo in mezzo a quei tre, il che era un bene poiché non si riusciva a vedermi.
Alex era il padre del gruppo, mi diede questa impressione. Soprattutto mentre canzonava per l'ennesima volta il biondo assestandogli uno scappellotto.
«La smetti di trascinarla per il polso ovunque? È umana sai?»
«Grazie Alex non saprei come fare senza di te» rispose poggiandogli una mano sulla spalla «birretta dopo gli allenamenti?» disse poi sfregandosi le mani.
«Non posso, ho un appuntamento devo andare in studio» spiegò Blake, avrei tanto voluto vederlo lavorare, da quel che si vedeva dai suoi tatuaggi sapeva bene come fare il suo lavoro. Purtroppo però non potevo auto-invitarmi.
«Amico non so proprio come fai. Ti mantieni da solo, studi e fai sport, qual'è il tuo segreto?»
«Crescere Miller, si chiama crescere» i due si scambiarono una smorfia. L'armonia di quel trio era palese, io sembravo spezzarla con la mia sola presenza. «Heather tu vieni con noi?» mi chiese Alex per tagliare la discussione di quei due.
Di getto avrei anche accettato, ma poi mi ricordai di Aron, non potevo lasciarlo a casa solo. Non mi ero mai fatta questi problemi, forse perché nessuno mi aveva mai invitata a bere una birra in un locale o da qualsiasi altra parte.
«Vorrei accettare ma mia madre è a lavoro e non tornerà prima di stanotte, ho un cane che se lascio solo per troppo tempo si vendica buttandomi giù casa» il centro della conversazione si spostò su Aron, parlai molto e ricevetti un inaspettato interesse.
Jackson raccontò delle sue disavventure con gli animali -pace all'anima di quei poveri criceti. Alex invece non aveva animali ma una gran ossessione per gli aracnidi.
«Io li odio, loro ed il resto della famiglia. I serpenti, quelli sono belli» sentenziai battendo l'indice sul tavolo.
«Penso che siate malati, parliamone. Serpenti? Tarantole? Un bel porcellino d'india non vi aggrada per caso?»
«Li hai fatti scomparire tutti tu a San Francisco» rispose Blake ridendo.
Sfoggiava una dentatura bianca e perfetta, aveva un'unica fossetta sulla guancia sinistra che si allargava in base all'ampiezza del suo sorriso. In quel momento avrei voluto che fosse a trentadue denti.
«Pensa a Tea tu. Tratti quel cane come se fosse la tua ragazza»
«Tea ha più contegno e portamento di tutte queste ragazzette messe insieme, chiamarle cagne diventerebbe un insulto nei suoi confronti» chiarì in tono serio e tranquillo.
«Ohhh siete molto schizzinoso per esservi fatto metà scuola signor Johnson» lo prese in giro Alex, e se si potesse far prendere fuoco qualcuno soltanto guardandolo, Blake ci sarebbe appena riuscito. «È l'invidia che parla Anderson?»
Blake rimaneva un'incognita per me.
Quando nessuno ti vede sei obbligato a osservarti intorno al posto loro, negli anni ho imparato ad analizzare le persone ed i loro comportamenti per farne un quadro generale. Mi bastava poco, davvero poco, ma quel poco con Blake era nulla. Sembrava non mostrare mai niente di profondo, di voler far vedere solo la superficie di se.


Spazio Autrice
Ciao a tutte, questo è il secondo capitolo. A quanto pare Blake è un donnaiolo a cui non importa esserlo, le donne non hanno niente di speciale per lui, che ne pensate voi? Fatemi sapere🫶🏻

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