51.Sofia

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Sembravano quasi interminabili quelle ore di aereo. L'ansia mi stava divorando. Marlene sarebbe stata furiosa con me, e io sapevo che avrei dovuto affrontare le conseguenze delle mie azioni. Mi ero comportata in modo irresponsabile, scappando senza avvertire nessuno, lasciando che si preoccupasse per me. Non dovevo farlo, ma non riuscivo a pensare a nulla se non a Gabriel. Non potevo rinunciare a lui, per nulla al mondo.
Cercai di chiudere gli occhi, sperando che un po' di sonno mi aiutasse a rilassarmi, a scacciare almeno per qualche istante quei pensieri che mi tormentavano. Ma appena mi appisolai, una voce dall'altoparlante interruppe il mio tentativo di distrarmi, chiamando l'attenzione dei passeggeri. Eravamo arrivati.
Ci allacciammo le cinture come da comando e aspettammo l'atterraggio dell'aereo. Gabriel mi strinse la mano, cercando di trasmettermi la sua calma mentre i nostri corpi rimanevano attaccati ai sedili. L'aereo iniziò a scendere lentamente verso il suolo, le luci della pista che si avvicinavano sempre di più. Il mio cuore batteva più forte mentre il suono dei motori che si spegnevano lentamente mi ricordava che la nostra fuga , che avevo creato io, stava per finire lì.
Appena ricevemmo il permesso, ci alzammo in piedi, prendemmo le nostre valigie e ci mettemmo in fila per uscire dall'aereo. Guardai fuori , era ormai scesa la sera, mi ero dimenticata del fuso orario.
Mentre attraversavamo il corridoio che ci portava verso l'uscita, sentivo gli occhi dei passeggeri sulle nostre spalle, ma non avevo nemmeno la forza di preoccuparmi. Pensavo solo a Marlene, a ciò che avrebbe detto e fatto quando ci saremmo viste. Sarebbe stato difficile, ma non avrei potuto fare altrimenti.
Gabriel, come sempre, non disse nulla, ma la sua mano nella mia mi fece sentire che, qualsiasi cosa sarebbe successo, lo avremmo affrontato insieme.
Prima di proseguire ci guardammo per l'ultima volta negli occhi. Un silenzio profondo ci avvolse, prima che le nostre mani si separassero, lasciando andare quella presa. Mi sentivo intrappolata, incapace di vivere liberamente, sempre costretta a nascondere ciò che provavo.
Ci dirigemmo verso l'aeroporto, e lì, in attesa, c'era Marlene. Le sue braccia erano incrociate e il suo volto era segnato da una stanchezza che non nascondeva l'ira che provava. La guardai, il cuore mi batteva più forte. Non avevo bisogno di altre parole per capire che le avevo fatto del male. La sua espressione severa mi fece deglutire, e mi sentii subito in colpa.
Non riuscivo a guardarla senza sentire il peso della mia scelta. Avevo fatto qualcosa che non si sarebbe mai dovuto fare, e ora ne stavo affrontando le conseguenze. Guardarla mi faceva sentire come un cane bastonato. Non c'era via d'uscita. Avevo rovinato tutto.
«Marl-» cercai di parlare, ma le parole mi si spezzarono in gola quando Marlene mi strinse in un abbraccio senza dire nulla. Per un attimo, rimasi paralizzata, confusa dal suo gesto, ma poi ricambiai lentamente l'abbraccio, sentendo finalmente il calore della sua vicinanza.
«Mi dispiace.» La voce mi tremava, mentre le lacrime scorrevano senza sosta sul mio viso. Non riuscivo a fermarle.
«Shh, l'importante è che tu stia bene.» disse con tono dolce ma fermo, prendendomi il viso tra le mani e baciandomi delicatamente la guancia. «Ma sei in punizione, ragazzina.»
Il suo tono, miscelato tra affetto e disapprovazione, mi fece abbassare lo sguardo. Sapevo che avevo deluso le sue aspettative.
«Perché non mi hai detto la verità?» chiese, il suo sguardo sincero ma anche deluso. «Ti avrei mandata, sapendo che c'era Gabriel con te.»
Non sapevo come rispondere. Non avevo una risposta che potesse giustificare la mia scelta.
«Non lo so. Avevo voglia di vedere la NYU, ma  avevo paura che mi dicessi di no.» Le parole mi uscirono senza pensarci troppo.
Marlene mi strinse ancora più forte, cercando di darmi un po' di conforto. Poi fece un passo indietro e allungò la mano verso Gabriel, invitandolo a unirsi al nostro abbraccio. Quando sentii le sue mani sulla mia schiena, un brivido mi percorse, ma subito dopo mi colpì la consapevolezza che quello era l'unico contatto che avremmo avuto in un luogo pubblico.

Tutti e tre ci dirigemmo verso l'auto di Marlene. Gabriel, però, si fermò accanto alla sua Audi, lanciandomi uno sguardo neutro.
«Io vengo con la mia.» annunciò con calma, indicando la macchina. Annuendo, decisi di restare con Marlene. Non volevo attirare troppa attenzione o sembrare eccessivamente legata a lui. In quei quindici giorni eravamo stati costantemente insieme e forse avevamo entrambi bisogno di un po' di spazio. Mi infilai in auto, chiudendo lo sportello con un lieve clic.
Marlene accese il motore e, poco dopo, rompette il silenzio. «Allora? Raccontami tutto. Com'è stato il college?» chiese con un entusiasmo genuino, un sorriso che si rifletteva nello specchietto retrovisore.
«Stupendo.» risposi con un tono basso, cercando di sembrare entusiasta. «Ha dei corsi davvero interessanti e... ho conosciuto due ragazzi simpatici. Emily ed Ethan.» Le mie dita iniziarono a giocherellare nervosamente tra loro.
«Mh, questo Ethan com'è ? Carino, immagino.» Marlene non perse l'occasione per lanciare un commento malizioso, facendo alzare leggermente i miei occhi verso di lei.
Deglutii piano, trattenendo un sospiro. Ripensai alla discussione con Gabriel riguardo la sua gelosia. «Sembra di sì...» risposi con esitazione. Poi aggiunsi, quasi distrattamente. «Poi ho incontrato una signora che mi ha turbato un po'.» La sua espressione cambiò subito, facendosi più seria. «Quale signora?» domandò, preoccupata per la mia reazione.
Esitai, fissando il vuoto davanti a me. «Ha detto di essere la mia madre biologica. Ma non le ho creduto... è troppo assurdo, impossibile che fosse ancora viva. Mi hanno sempre detto che i miei genitori sono morti e che per questo mi hanno abbandonato.» Feci una pausa, i miei pensieri confusi mentre ricordavo quei momenti. «Però aveva la mia stessa voglia, Marlene. Identica.» Mi girai verso di lei, con gli occhi lucidi e la voce incrinata. «E se fosse davvero lei?» Marlene rallentò leggermente, il suo volto si addolcì mentre cercava di contenere la sua preoccupazione. «Facciamo una cosa.» propose con tono rassicurante. «Giovedì andiamo dalla direttrice del tuo istituto e chiediamo tutte le informazioni sui tuoi genitori biologici. Sei d'accordo? Se è davvero lei, magari riusciremo a trovarla tramite il nome.» Le sue parole mi diedero un po' di speranza, ma non volevo illudermi. Annuii lentamente, stringendo le mani sul grembo. «Va bene, grazie, Mar.» Marlene mi accarezzò una guancia con affetto, accennando un sorriso per cercare di tranquillizzarmi. «Non devi ringraziarmi, tesoro. Ti ho promesso che ci sarei sempre stata, no?»
Mi lasciai andare a un sorriso debole, cercando di ignorare il groviglio di emozioni che mi attanagliava il petto. Non era facile accettare l'idea che quella donna potesse davvero essere mia madre, ma avevo bisogno di sapere la verità, qualunque essa fosse.
Il resto del viaggio verso casa fu silenzioso, interrotto solo dalla musica che Marlene aveva messo per creare un'atmosfera rilassante. Quando arrivammo, Gabriel era già lì, appoggiato al cofano della sua Audi. Mi fissò con il suo solito sguardo intenso.
Marlene scese dall'auto per prima, recandosi verso la porta di ingresso per aprirla.
Mentre recuperavo le valigie dal bagagliaio, Gabriel si avvicinò a me, abbassando la voce. «Tutto bene?»
Annuii, evitando di incrociare il suo sguardo. «Sì, tutto a posto.» Non sembrava convinto, ma non insistette. «Se hai bisogno di parlarmi, sai dove trovarmi.» Quelle parole, per quanto semplici, mi confortarono. «Lo so.» mormorai sorridendogli leggermente.
Entrammo in casa, e l'odore di lavanda, che Marlene adorava spargere per la casa, mi avvolse completamente. Marlene si affrettò a sistemare le mie valigie, lasciandomi qualche momento per me stessa.
Mi sedetti sul divano, fissando il vuoto. Gabriel rimase sulla porta, osservandomi. «Rapunzel, sei sicura di stare bene?»
Non volevo farlo preoccupare , non dopo tutto quello che avevamo passato. «Sì, sono solo stanca. È stato un viaggio lungo.» Lui annuì, ma nei suoi occhi c'era qualcosa che mi faceva capire che non mi credeva del tutto. «Riposa, allora. Ma se cambi idea...sono nella stanza accanto.» mi diede un bacio sul capo per poi salire le scale e andare in camera sua. Sospirai profondamente e mi alzai per raggiungere la mia stanza. Marlene mi aspettava seduta sul bordo del letto.
«Sicura di stare bene?» mi chiese dolcemente.
Scossi la testa. «Si sto bene credo solo di aver bisogno di dormire un po'.» Lei annuì premurosamente , alzandosi per baciarmi la fronte. «Va bene. Sono qui se hai bisogno.»
Mi sdraiai sul letto, chiudendo gli occhi, sperando che il sonno mi portasse un po' di pace. Ma una domanda continuava a tormentarmi: e se quella donna fosse davvero mia madre?

Endless 1 Cuori Nascosti (COMPLETA)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora