2. Non giocare con me

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Quando uscii dall'acqua e raggiunsi l'ombrellone dalle righe bianche sullo sfondo di un verde scuro brillante, mia madre era intenta a giocare a carte con Jeremy, mentre Kristal e William sistemavano una serie di cose in alcuni borsoni

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Quando uscii dall'acqua e raggiunsi l'ombrellone dalle righe bianche sullo sfondo di un verde scuro brillante, mia madre era intenta a giocare a carte con Jeremy, mentre Kristal e William sistemavano una serie di cose in alcuni borsoni. Osservai a lungo le persone che avevo davanti e non ci misi molto a capire che qualcuno mancava. Ero sicura non si trattasse né di Maddy, né Lara, dato che erano ancora in acqua. Mi voltai verso il mare, osservando con attenzione le dune azzurre, nella speranza di scorgervi la sua figura, ma nulla.

«Ma non si gioca come giochi tu! Tu stai barando!», sentii la voce di mia madre. Mi voltai a guardarla: sorrideva, era felice.

«Ma che dici, io non baro», lamentò Jeremy ridendo.

«Sì invece. Kristal me l'aveva detto che eri un imbroglione, ecco perché non ha voluto giocare»

«Kristal non vuole giocare perché non sa giocare, è diverso!»

«Ah! Parli di me alle mie spalle, sei un marito infame», si difese Kristal.

Osservai mia madre perdersi in quella conversazione: la vidi ridere e ridere ancora. Era così bella quando le sue labbra si incurvavano, facendole comparire sul viso quelle piccole fossette che tanto adoravo.
Da piccola, quando mi prendeva in braccio per farmi giocare, mi piaceva toccargliele con la punta delle dita. Quando lo facevo lei rideva ancora di più e io ne ero felicissima: il suo sorriso era la migliore delle medicine. Tuttavia negli ultimi anni era un trucchetto che funzionava sempre meno, riuscivo ad ottenere sono un sottile sorriso triste. Respirai a fondo, presi coraggio e mi imposi di farle quella domanda che tanto mi infastidiva: chiederglielo significava farla cadere con i piedi per terra, ricordarle la parte più negativa della sua vita, quella che più di tutte la faceva soffrire.

«Mamma, dov'è papà?», chiesi tutto d'un fiato.

A quella domanda, come avevo immaginato, si fece seria e abbassò lo sguardo.

«Se n'è andato tesoro: doveva... lavorare. Ha preso l'auto, ha detto di prendere un taxi per tornare a casa».

Jeremy la guardò, dopodiché si rivolse a me scuotendo la testa. Ecco: era andato via di nuovo, sparendo nel nulla senza dire niente. Ma di cosa mi lamentavo se questa era la cosa che sapeva fare meglio?

«Okay!», dissi sperando che il mio tono apparisse quanto il più tranquillo e naturale possibile, poi mi voltai dandole le spalle.

Respirai a fondo cercando di mantenere la calma, ma sfortunata­mente quella non era la mia specialità. Ciò nonostante ero conscia della sofferenza di mia madre nel vedermi in quello stato, quindi la soluzione era una soltanto: non pensare, perché se l'avessi fatto la rabbia sarebbe aumentata, avrei covato dentro di me il risentimento e, quando l'avrei rivisto, non avrei risposto di me. Feci l'unica cosa che in quei momenti riusciva a farmi rabbonire: recuperai il mio mp3, mi sedetti su una delle tante sedie vuote e iniziai a sviare la mia mente, assediata dalla rabbia e dalla frustrazione, con alcune delle mie can­zoni preferite. Con la coda dell'occhio osservai Jeremy alzarsi e, poco dopo, lo sentii cingermi una spalla dolcemente.

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