Prologo

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Era una splendida giornata di sole, un sole accecante

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Era una splendida giornata di sole, un sole accecante. Uno di quelli che, quando sorge sullo specchio d'acqua, rilascia una lunga scia di colori luminosi e brillanti. Uno di quelli che solo se provi a guardarlo ti appanna la vista e, quando cammini in auto, sulla strada asfaltata, ti dà l'impressione di tro­varti sulle montagne russe, o su un sottile strato di lava incandescente, che continua a muoversi e vibrare sotto di te. Un caldo asfissiante strangolava l'aria che diventava quasi irrespirabile... almeno questo è quello che ricordo di quel giorno, il giorno in cui tutto è comin­ciato.

Ricordo di aver pensato a quanto avessi voglia di andare al mare, mentre invece ero sdraiata sul mio letto a leggere. Alzai gli occhi dal mio libro dopo aver finito un altro capitolo e respirai a fondo. Lo sfogliai arrivando alla fine, gioendo del fatto che mi manca­vano appena altri tre capitoli per finirlo. Non so se voi leggete, io personalmente adoro farlo, ma non sono molto paziente: quando inizio un libro vorrei già averlo finito, quindi sto sempre a con­trollare quanto mi manca per terminarlo e una volta voltata l'ul­tima pagina mi sento realizzata, come se fossi arrivata alla fine di una maratona. Ad un tratto mia sorella, Maddy, si precipitò in stanza sbattendo fortemente la porta. Mia sorella è più grande di me ma non si nota per niente, sembriamo più gemelle che sorelle. I capelli biondi e spettinati le ricadevano sul viso senza una direzione precisa, mentre, avvolta nel suo pigiama di pizzo e raso, teneva le braccia incrociate e il muso imbronciato.

«Uffa! Riesce sempre a farmi innervosire», disse con l'aria di chi ha avuto una giornata storta.

«Che succede?», chiesi richiudendo il vecchio volume ocra in tela sintetica.

«Niente Katie».

Ah! Ecco, è così che mi chiamo e no, non sono italiana. Sono nata in Inghilterra ma vivo da otto anni in Italia. Mio padre è un architetto e per lavoro ha dovuto trasferirsi qui, inizialmente a Firenze e da cinque anni a Napoli.

«Non può essere "niente" se entri sbattendo la porta», dissi

«Tesoro, dai!», la porta si aprì, rivelando la figura snella di mia madre.

«Ecco fattelo spiegare da lei cosa è successo»

Alzai gli occhi al cielo e subito dopo guardai mia madre per incitarla a darmi una spiegazione.

«Prima di reagire così devi farmi finire di parlare», disse mia madre, ma mia sorella Maddy restò impassibile con le braccia incrociate al petto e un broncio enorme disegnato sulla faccia.

«Mi dite che succede per favore?», chiesi per l'ennesima volta.

«Ho detto a tua sorella che quest'anno non andremo a Barcellona per le vacanze perché...»

«Ci volevo andare da un sacco e tu...»

«Oh, Dio santo! Falla parlare Maddy!», esclamai spazientita.

Alle mie parole il broncio sul viso di mia sorella raddoppiò di grandezza accompagnato da un sonoro e lamentoso sbuffare.

«Dicevo, non ci andremo perché c'è stata una piccola deviazione chiamata... "famiglia Hurt"» disse sillabando le due parole in aria, con le mani.

A quelle parole gli occhi di mia sorella si spalancarono, così come i miei. Richiusi il libro rapidamente, dimenticandomi di inserire il segnalibro tra le pagine: pazienza, avrei controllato più tardi dove ero arrivata. Velocemente mi misi a sedere, spostando un cuscino che mi era finito sotto le gambe.

«Cosa vuoi dire?», chiedemmo all'unisono.

Mia madre rise sotto i baffi, «oh! Ma niente. Ci hanno solo invitati a trascorrere le vacanze con loro a Portofino, un paesino della Liguria»

Gli occhi di mia sorella brillarono. «Wow, sì! Quando si parte?», urlò eccitata.

«Non volevi andare a Barcellona tu?», chiesi con fare ammic­cante.

«Io dico tante cose. Cavolo! Devo fare la valigia, andare dall'estetista, fare shopping! Katie domani andiamo a fare acquisti»

«Maddy non sappiamo neanche quando partiamo», dissi ridendo.

«Partiamo tra tre giorni», rispose mia madre.

«Ecco, tra tre gio... TRA TRE GIORNI! Cavolo mamma devi aiutarmi a fare la valigia» detto questo uscì dalla stanza trasci­nando mia madre dietro di sé.

Wow! Tra tre giorni... tre giorni e avrei rivisto gli Hurt. Avrei trascorso le vacanze estive con loro, questa sì che era una grande e bellissima notizia.

A questo punto vi starete chiedendo chi sono gli Hurt: è una fami­glia di cervi che vive in Inghilterra... sto scherzando, anche se effettivamente il nome Hurt è di origini inglesi e significa, letteralmente, "maschio cervo".

Okay, scusate, ma ho una fissa con l'etimologia dei nomi. Il mio ad esempio, Katie, ha origini greche e significa "pura". Il cognome invece, Smith, è britannico e significa "fabbro", anche se non so assolutamente nulla su come si lavori il ferro o altri materiali simili. Ma ora bando alle ciance, o ciance alle bande, e proseguiamo la nostra storia. Dunque, chi sono gli Hurt? Sono delle persone che la mia famiglia ha sempre frequentato da quando ero una bambina, anzi, sin da prima che nascessi. Questo, probabilmente, perché mia madre e la signora Kristal si conoscono dai tempi del liceo e sono migliori amiche da allora. Inoltre è proprio per loro che ci siamo trasferiti in Italia: Jeremy Hurt, marito di Kristal, è un architetto e si stanziò a Genova, con la sua famiglia, circa sei anni prima di noi e poi, nel giro di un anno, furono a Napoli. È su suo consiglio che mio padre decise di venire a vivere qui. Da piccola mi divertivo molto con loro, soprattutto con Lara, la loro figlia minore. Ha la mia stessa età e, quando si trasferirono, nonostante fossimo distanti 2.170,9 km, continuai a sentirla molto spesso. Erano simpaticissimi, non ci si poteva annoiare con loro e, quando seppi del loro trasferimento a Napoli, fui molto felice, così come i miei genitori. I nostri rapporti ripresero alla grande e Jeremy iniziò a lavorare con mio padre. Avevano anche un altro figlio, William, ma non avevo avuto ancora occasione di rivederlo.

Lui era più grande di me di circa due anni. Da quello che riuscivo a ricordare non era parti­colarmente socie­vole e non era neanche un granché: portava gli occhiali alla Harry Potter (nulla da togliere alla Rowling dato che amo tutti i suoi libri), era anche un tipo un po' bizzarro: capelli neri, brufoli ovunque, insomma, vi lascio immaginare. Ad essere sincera non mi è mai stato tanto simpatico, non so: avete presente quelle persone con la puzza sotto il naso, con quell'aria un po' altezzosa? Ecco, Wil­liam era così. Decisamente difficile da mandare giù.

I tre giorni non tardarono a passare e presto mi ritrovai a vivere la notte prima della partenza. Già, "vivere", perché non riuscii a chiudere occhio. Non feci altro che girami e rigirarmi nel letto, inoltre il caldo non aiutava.

Mi alzai, con la fronte e la nuca madidi di sudore, in preda ad una crisi isterica. I miei capelli erano bagnati e la mia pelle umidiccia. Quando aprii la finestra provai una piacevole sensazione di sollievo e sentii la pelle farsi più asciutta a contatto con la leggera frescura serale. Dà lì guardai la miriade di stelle che ricoprivano l'intera città, che era nel più fulvido dei sonni e si godeva un riposo che, purtroppo, a me non voleva arrivare. L'idea di andare in vacanza con le persone che mi avevano praticamente cresciuta e di vedere Lara mi rendeva felice, così tanto da non riuscire a chiudere occhio. Il fatto è che, sebbene vivessimo tutti in Italia, per molto tempo non ci siamo più visti a causa della distanza tra le nostre città.

Guardai l'orologio: erano le quattro, la città era immersa nel silenzio. L'unico suono che riuscii a sentire era quello delle auto che, di tanto in tanto, sfrecciavano sulla strada asfaltata poco distante da casa. Dopo essermi rinfrescata mi stesi nuovamente sul letto nella fervida speranza di riuscire ad addormentarmi. Poggiai la testa sul morbido cuscino di lino, mentre i miei occhi contemplavano ancora il tenue bagliore della luna che illuminava la stanza.

«Questa estate sarà davvero indimenticabile», pensai chiudendo gli occhi e abbandonandomi pian piano al buio di quella notte così elettrizzante.

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