5. Allerta incendio

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«Cosa? Ti ha chiesto scusa?», chiese Stacy dal piccolo apparec­chio adagiato delicatamente sul mio comodino, intrecciato con fili e fili di paglia

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«Cosa? Ti ha chiesto scusa?», chiese Stacy dal piccolo apparec­chio adagiato delicatamente sul mio comodino, intrecciato con fili e fili di paglia.

«Sì, te lo giuro», risposi.

«Sono leggermente scioccata. Non è da William chiedere scusa».

«Wow! Una cosa che non sai su di lui. A quanto pare ne è in grado», dissi osservando la figura di una tenera rondine adagiata sul muretto della mia veranda. Si muoveva rapida e lesta, come una saetta: l'attimo dopo era lì e l'attimo dopo era già svanita, ma continuava a gironzolare davanti alla finestra. Probabilmente il suo nido era nei paraggi. Era così piccola che se avesse avuto un manto più chiaro non l'avrei vista. Nella celerità del suo volo sembrava un piccolo nastro nero a cavallo delle onde del vento.

«Ma tu l'hai perdonato subito?»

«No, per chi mi hai preso? Sono stata abbastanza sfuggente tranquilla»

«Beh, era il minimo. Brava Katie, così si fa. Ora devo lasciarti ci sentiamo presto okay?».

«Okay a presto», dissi sorridendo.

«Ah, mi raccomando: non abbassare la guardia. Avrà anche fatto una cosa che non fa mai, ma resta pur sempre un dongiovanni».

Già, un dongiovanni. E se le avessi detto come mi aveva chiesto scusa, cosa avrebbe pensato?

Se le avessi raccontato dei nostri sguardi mentre delicatamente spostava i capelli dal mio viso, se le avessi detto di come mi aveva preso tra le sue braccia, di come aveva sfiorato la mia mano con le sue labbra carnose facendomi rabbrividire, cosa avrebbe pensato Stacy?

Meglio non saperlo.

«Tranquilla, starò attenta», dissi mettendo a tacere i miei pensieri rimuggitosi che si arrovellavano nel mio stomaco come lame taglienti e affilate.

«Ciao», disse per poi riattaccare.

Era trascorsa ormai più di una settimana dal mio "incidente" in spiaggia durante il quale William mi aveva soccorsa. Per tutto il periodo di convalescenza non uscii dall'appartamento visto che, secondo mia madre, avevo bisogno di riposo assoluto. Non appena la caviglia sembrò essere tornata quella di prima, arrivò anche la febbre. Mi sentivo in trappola: non ne potevo più di tutti quei «stai ferma Katie», «non ti muovere Katie», «stai attenta Katie». Più che una storta sembrava che mi fossi appena risvegliata da un coma. Lara mi chiamò quasi tutti i giorni e non mancò di venirmi a trovare qualche volta. William invece non venne mai, ma sua sorella non perse l'occasione di dirmi che gli mancavo e che chiedeva continuamente di me. Affermazione che non mi purtroppo dispiacque affatto sentire.

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